Wieder

restituzioni, returns, rétablissements, renovaciónes, reintegrações, întoarcere, powrót, ….

Un progetto metropolitano a-centrico in 5 formati


ideazione, musica, testi Aldo Brizzi
ideazione, coreografia-regia, apparati visivi Ugo Pitozzi


wieder


WIEDER – “restituzioni…” è un progetto artistico a-centrico, un arcipelago e una grammatica sensoriale a mosaico.
Cinque formati, portano lo spettatore-visitatore in più luoghi delle aree urbane: un teatro all’italiana e il suo foyer, una galleria o parco d’arte o archeologia industriale portata anche a contenitore multiplo, ville storiche e luoghi artisticamente connotati, università, settori urbani connotati dall’imbarazzo e dalla vergogna (bagni pubblici, vie a luci rosse, aree dell’abbandono e dismissione, supermercati, etc….) e in luoghi del transito (hotels, stazioni, vetrine di negozi) scelti dipendendo dalla connotazione e disponibilità della città in cui WIEDER verrà presentato.
Un “concetto volutamente “forte” di Perdita del Centro, d’immersione in un Tempo Qualitativo non lineare.
Così i formati – luoghi, in modo quasi labirintico, creano una geometria variabile di lettura del progetto nel suo insieme. Sono le tappe-frammento di una migrazione del senso.



Sul palco del teatro troviamo: luci, immagini digitali, danzatori, percussionisti, una cantante, suoni elettronici sferici che c’invadono come una Sinfonia dei tempi della Finis Austriae, qui presaga di altre fini (o altri inizi) … Il tutto ritmato in un contrappunto poli-sensoriale: il ritmo dei danzatori a volte si ritrova in contrasto rispetto ai suoni, inducendo quindi una percezione poliritmica. La musica è un unico divenire, le immagini e l’apparato visivo generale anche rappresentano un unico divenire, ma al contrario del continuum sonoro, respirano pieni e vuoti. E lo spettacolo non rinuncia alla prassi antica della sorpresa: una serie di veri e propri coups de théâtre colpiscono e intrigano continuamente lo spettatore, fino ad un’inatteso ribaltamento di senso (e forse di ruoli) …


Gli elementi sono: il linguaggio del pensiero e della praxis del suono e del corpo, inteso come costruzione architettonica dei tempi, dei flussi e dello spazio organico (compositivo) del corpo stesso, come drammaturgia asciugata del gesto-danza-coreografia.


La musica, il corpo, le immagini, anche negli altri luoghi-formati, sono atemporali, centrifughe, trasportano sempre altrove, dove il Tempo-Suono e lo Spazio-Corpo sono in eterno equilibrio tra una parcezione concreta e una percezione virtuale.

Tempo-Suono:


l’ipnosi acustica e corporea inizia percorrendo luoghi e formati: lo spettatore porterà con sè la memoria di suoni-frammenti, sempre diversi che non sono che infinite submininali variazioni (o frammenti archeologici) della matrice di tutto, la melodia infinita e le sue armonie trompe l’o(re)il.



Spazio-Corpo:


dalle architetture materiche e dalle arti della rimappatura performativa-sonora di un habitat, giungiamo a linguaggi in estrema lontananza di prassi tra loro, per questo assimilabili in un gesto di deterritorializzazione, dove il corpo non si rappresenta come unità ma si spande in movimenti-frammento ed immagini molto lontane da una pratica di multimedialità costretta in limiti canonicamente estetizzanti.



L’obbiettivo di WIEDER “restituzioni---“ è quello di destabilizzare un centro canonico di lettura, perciò di adottare una policentricità o meglio una acentricità di volontà creatrice che equivale ad una volontà dello spettatore: uno spettatore che si connette con luoghi, strutture, concetti, attraverso la percezione quasi fisica del farsi e rifarsi di un “suono-gesto”.


Uno spettatore, dunque, in veste di necessario ed indispensabile co-protagonista. E questa è la tendenza delle esperienze di spettacoli a numero limitato, spettacoli in aree eccentriche, concerti di musica a paesaggio sonoro, arti sceniche della danza. Anche quelle più importanti a livello internazionale s’installano con tutto ciò che comporta l’uso dello spazio e si trasformano in “tempo qualitativo”.



WIEDER – “restituzioni…”, diventa un ambiente urbano abitato-abitabile: l’opera che diventa corpus è l’aprirsi alla memoria di sè e dell’altro in una “restituzione affettiva” e, al tempo stesso, alla premonizione ….e all’esilio doloroso e liberatorio come perdita di ogni centro (anche nel senso ego-centrico …).




Musica e testi - Aldo Brizzi
Coreografia e regia: Ugo Pitozzi
Luci: Luca Storari
Percussionisti: da definire
Danzatori: da definire
Voce: Reis

Diari degli autori


(appunti in divenire)

MUSICA
diario di Aldo Brizzi


La musica è un adagio trompe l’o(re)il…
Un tema dalla melodia infinita e circolare, un timbro di soli suoni puri-sinusouidali: espone, sale al punto culminante e decade fino all’ultimo sguardo nostalgico su ciò che è stato.

COREOGRAFIA
diario di Ugo Pitozzi


La composizione coreografica, è una re-identificazione del corpo performativo in una moltitudine di modalità e alterità: un lavoro-riflessione sul corpo che danza come gesto di attraversamento continuo, azione sempre in “periferia e fuori bilanciamento”…


Quindi (ac)cadono nuovi timbri, anzi nascono da dentro il suono stesso ormai salito a status di hypnosis: questi timbri rivelano trame interne, ciò che si credevano accordi si rivelano dissonanze, ciò che si pensavano essere accompagnamenti si rivelano melodie altrettanto primarie che lanciano ombre e vuoti nella melodia infinita. Il tema si ripete circolarmente per molte volte, il tempo sembra sospeso, ma nulla mai è uguale. Le dissonanze provocano ritmi interni che divengono percussioni ostinate, i paesaggi sono abitati da suoni naturalis acutissimi o da gravi percossi con violenza. La musica è un film immaginario che non ha bisogno di parole, non ha bisogno d’immagini, come una sinfonia circolare nello spazio acustico, con accorgimenti psico acustici subliminali, diviene la scenografia, la fotografia. In questo spazio di non parole, di non racconto lineare, s’inseriscono paesaggi archeologici, proiezioni di linee-figure che (s)compongono, il lavoro coreografico, i movimenti di persone, siano essi pubblico o attori principali, tutti a rappresentare reperti archeologici restituiti alla fruizione e alla magia dell’attimo in cui si esprimono: come un torso senza braccia che riemerge dalla sabbia millenaria riesce più sensuale che qualsiasi forma completa, così ogni momento che ritorna da momenti altri è il momento unico restituito pienamente alla bellezza.


(le tensioni e le estensioni anche in punta non sono il “volare” ma lo “spargersi”)…. Così nel pensare WIEDER-RESTITUZIONE, non tendo ad un raccontare, tendo alla “geografizzazione” continua di un corpus ( l’insieme del gesto, del corpo in movimento e dell’intero dispositivo scenico, come definisco gli altri piani in “presenza”) che si fa immersione e tempi multipli, in cui il flusso di energie variabili diventa la primissima azione dell'essere corpo coreografico. Nel creare arte con corpi danzanti, trovo-ri-trovo senso, attraverso una complessità di sequenze non gerarchiche: uno svilupparsi di segni nei-sui corpi fatti da connessioni, rischi e pericoli, stratificazioni di linee e acquietamenti nelle stasi e nei vuoti.
Da molto tempo, comporre con i corpi è il mio smarrimento intimo, dove prevale la percezione di un’assenza, e l’idea del gesto infettivo Dunque volta per volta vorrò tendere a una scrittura, con i danzatori e con l'apparato visivo (che coreografo come fosse corpo vivo) fondamentalmente antianalogica; perché le analogie, anche se solo poco evidenziate, tendono a creare un’immediata soddisfazione e stanchezza...


Per poi scomaprire in altri coups de théâtre: una voce aggiunge ulteriori melodie alla melodia infinita. Scopriremo anche parole, intensità emotiva, magia, spostamenti: l’arcipelago rivela infinite ere geologiche tutte di passaggio nell’attimo che le restituisce al continuo cambiamento della direzione di senso, fino all’ultimo chock: lo spettacolo e la soluzione di molti quesiti venuti alla mente di chi esperisce si troveranno altrove…


Il gesto compositivo di un’opera ci deve condurre, tutti noi che ne siamo parte (pubblico compreso), in una vertigine, in un tempo che dimostra e non rappresenta... una forma di attivazione estetica rischiosa di un eterno Frankenstein: corpo che ruba ad altri corpi il corpo ... I gesti del gesto, i corpi del corpo …
Quando riesce mi pare sempre una composizione di profumi …
Da molto concepisco la composizione coreografica appartenente all’ordine dell’epifania, dell’istante e, al contempo, all’ordine di uno strano ricordo non-memoria logica.
“ Datemi dunque un corpo” : è la formula del capovolgimento filosofico. Il corpo non è più l’ostacolo che separa il pensiero da se stesso, ciò che il pensiero deve superare per arrivare a pensare. Al contrario è ciò in cui affonda o dove affondare, per raggiungere l’impensato, cioè la vita.” Dice in “l’Immagine-Tempo” Gilles Deleuze.
WIEDER-Restituzione: questi pensieri permeano la composizione coreografica e sicuramente vanno ad evitare uno spettacolo reliquiario … è il perchè si ricomincia sempre, nonostante i molti anni sulla scena, con una perdita inedita delle certezze … Il palcoscenico è un giardino?

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