AMARE PAROLE

di Beniamino Sidoti
Raccolta di Aprile 2016

1 aprile - Langalìa


Langalìa (s.f.): Profferta amorosa recitata in dialetto delle Langhe, e di conseguenza priva di bistròccoli e ricca di megoni (così come l'umbralìa, profferta recitata in dialetto umbro, ha dei mirìagoli, dei trigèridi e dei fernuschi).
Raramente le langalìe son fànfàggini: ma può anche darsi che siano birgellute.
La lingua batte su bòghera le trappe: e dice ciò che vuol dire anche se non tutte le parole sono inventate.
Il senso è qualcosa che si crea, e a volte si balòccola in festigi. Altrimenti son fanfole.


2 APRILE - RIASSUNTO


Riassunto (s.m.): Pratica prevalentemente scolastica che sostituisce al testo letto una sua versione meno incisiva, meno efficace, ma valutabile.
Il riassunto nasce da un paradosso: leggere qualcosa di importante per poi scrivere con meno parole ciò che era davvero importante. La rinuncia a tanta ricchezza è evidente in espressioni come "in parole povere".
Etimologicamente, la parola 'riassunto' viene da un'antica radice indoeuropea di cui troviamo traccia nel latino 'emere' ("prendere") da cui 'sub-emere', "prendere sotto" e quindi "comperare" o "consumare"; 'sunto' (e poi 'riassunto') sarebbe quindi il participio passato di qualcosa che è stato consumato o comperato. Insomma, lo scontrino fiscale, la ricevuta, o il bolo alimentare successivo al consumo.
Pure, dalla stessa radice viene 'sontuoso', qualcosa la cui importanza corrisponde alla spesa richiesta, qualcosa di molto costoso. Sempre di ricevute si tratta.
Quando chiediamo un riassunto diventiamo i finanzieri della letteratura.



3 aprile - cuore


Cuore (s.m.): Organo regolatore della circolazione sanguigna. In senso traslato il cuore è la sede dell'amore, o il centro di qualcosa (e può anche essere "cuore pulsante").
Dalla parola cuore vengono aggettivi diversi: "cardiaco" a indicare la funzione puramente fisiologica dell'organo, "accorato" a indicare qualcosa che ci sta a cuore, "cordiale" per indicare una buona disposizione di cuore...
Sempre da cuore vengono i verbi "scordare" e "ricordare", che indicano come la memoria abbia a che fare anche con il cuore, e non solo con la mente.

4 APRILE - ORALE


Orale (agg.): Qualcosa che pertiene alla bocca (come l'igiene) e per esteso alla voce (come nel caso della letteratura): in questo ultimo caso si oppone a "scritto".
La scuola tende a alternare "orale e scritto" soltanto come forme di verifica, e affronta ogni forma di letteratura come se fosse nata scritta: per lungo tempo "orale e scritto" sono state anche modalità di fruizione dei testi, conviventi e dialoganti.
Leggere ad alta voce rende alla scrittura una sua dimensione naturale di condivisione e di fruizione, e la fa uscire dalla gabbia del testo. E l'orale, inteso come esame, potrebbe non limitarsi solo a una prova di memorizzazione, ma ispirarsi alle tante dimensioni orali della condivisione e della gioia del testo.



5 APRILE - PALINSESTO


Palinsesto (s.m.): Prospetto o quadro d'insieme, in particolare dei programmi televisivi.
La parola indica in origine un testo scritto su una pergamena da cui era stata raschiata la scrittura precedente (così l'etimo, letteralmente dal greco "grattato due volte"). Figurativamente passa a indicare un lavoro di scrittura fatto su altra scrittura, da cui il significato odierno.
Alla lettera "palinsesti" sono tutti i testi costruiti su altri testi, come le parodie: scrivere è sempre uno scrivere su qualcos'altro.


6 aprile - antologia


Antologia (s.f.): Un discorso nuovo costruito intorno a una raccolta di brani già esistenti.
La parola antologia compare già in antichità, quando indica delle selezioni di testi come raccolte "di fiori" (dal greco 'anthos'), analogamente al latino 'florilegio'. Origine simile ha il modo di dire 'fior da fiore'.
Il perché i testi scelti debbano esser dei fiori va ricercato forse nella parola 'raccolta', che per l'appunto indica un'azione contadina, un andare a cercare qualcosa per poterlo cogliere e quindi raccogliere.
I singoli testi mantengono la loro bellezza, ma è la loro composizione e giustapposizione che fornisce loro un senso.


7 aPRILE - IPOTESI


Ipòtesi (s.f.): Alla lettera, e etimologicamente, "supposizione": qualcosa che si "pone" "sotto" un ragionamento, cioè un'idea di base. Da qualche parte bisogna pur partire, e partire dal basso non è male.
Un'ipotesi è sempre un punto di partenza: la si può verificare, condividere, la si può "fare", facciamo l'ipotesi. Da questo punto di vista avvicina la narrazione alla logica: infatti è alla base del "periodo ipotetico". Alcune storie sono l'estensione di un'ipotesi.
Ipotesi cambia di significato se si sposta l'accento, diventando "ipotèsi", persone che soffrono di ipotensione. Dando così senso alla seguente frase: "Se non soffriamo di pressione alta, facciamo gl'ipotesi".


8 aprile - nota


Nota (s.f.): Qualcosa di scritto "a margine", che si accompagna a un testo e che rimanda ad altro.
"Nota" viene direttamente dal latino 'noscere', "conoscere", ed è quindi un'aggiunta di conoscenza e contemporaneamente un segno da riconoscere (così la "nota musicale").
La pratica di aggiungere note al testo è importante e antica, ed è uno dei gesti, da che si è inventata la scrittura, che più corrisponde allo studio.
Le note sono allo stesso tempo difficili da leggere perché segno esclusivamente scritto (non orale), e rimando a complessità ulteriori.


Il loro lato cattivo emerge nelle "note scritte in piccolo" nei contratti o nell'incubo delle note date nei libri di testo non come aiuto ma come compito.
Da nota viene anche "annotato", "notevole" ("degno di nota"), "denotare": una cosa notevole è qualcosa che ci fa pensare ad altro, che ci fa uscire dal testo. Proprietà notevole.
Tante note insieme fanno un concerto (se musicali) o un apparato: più propriamente fanno (l'espressione è di Manganelli) un "testo parallelo". Si rischia di perdersi, ma anche di trovare altro.



9 aprile - conversazione


Conversazione (s.f.): Un dialogo tra persone, in presenza o in presenza mediata dalle tecnologie: una piccola sfumatura distingue la conversazione dal "dialogo", dalla "chiacchierata", dall'incontro.
La conversazione è qualcosa di più: è uno scambio tra persone la cui tradizione affonda nelle corti rinascimentali e poi nei salotti francesi; la parola viene direttamente dal verbo latino 'conversari', "stare insieme".
Stando insieme, dice la parola, si parla: e se non si riesce a parlare, simmetricamente, non si sta insieme. Per riuscire a parlare bisogna fare una serie di cose civili: rispettare i turni di parola, ascoltare, valorizzare la posizione dell'interlocutore, costruire un terreno comune. Tutte cose molto importanti e che a volte sfuggono (ahimè).


10 aprile - imparare


Imparare (v. tr.): Acquisire nuove conoscenze, guadagnare nuove capacità, modificare i propri modi di agire.
Imparare è un verbo fondamentale, che ha meno sinonimi del simmetrico "insegnare" (educare, trasmettere...): viene dal latino 'parare' nel senso di 'prendere', 'acquistare'; si impara quando si acquista qualcosa 'dentro', e giustamente questo 'dentro' (la particella in-) compare davanti alla parola. L'inglese 'learn' viene da una radice proto-germanica legata al "seguire una traccia" mentre il greco 'manthano' è legato alla radice indoeuropea della 'mente'.


Ogni cultura e ogni lingua mette al centro uno dei diversi movimenti con cui impariamo. O apprendiamo, diversa radice, stesso movimento.
Dicevo prima: verbo simmetrico a insegnare. Simmetrico ma non complementare: si impara, e tanto, anche da soli, senza qualcuno che insegni. Proverbialmente, sbagliando si impara: purché ci sia dietro consapevolezza e capacità di abbracciare l'errore.
E leggendo, leggendo si impara? Non sempre e non per forza: c'è un movimento intermedio, quello per cui leggendo viviamo ciò che leggiamo. E vivendo si impara. Perché imparare è un verbo con un soggetto forte, e i soggetti hanno sempre il vizio di essere vivi.


12 aprile - incipit


Incipit (s.m.): Le prime parole di un'opera, di solito il primo paragrafo.
Gli incipit sono il modo con cui un romanzo si presenta: come certe strette di mano, gli incipit sudaticci, poco convinti o troppo convinti, ci spingono a diffidare dell'opera che leggeremo.
Gli incipit sono un ottimo materiale di gioco: possono essere un modo per inventare nuove scritture, possono essere messi in fila a fare una frase (come fa Calvino in Se una notte d'inverno un viaggiatore), sono ottimo materiale da quiz. Sono fantastici anche perché ogni lettore è prima di tutto un lettore pigro.
Il contrario di un incipit è un explicit, cioè le righe con cui si chiude l'opera. Il lettore pigro può trovare una versione liofilizzata di un libro prendendone solo incipit ed explicit: "Nel mezzo del cammin di nostra vita / uscimmo a riveder le stelle"; "In principio era il Verbo / La grazia del Signore sia con tutti"; "Uno spettro si aggira per l'Europa / Proletari di tutti i Paesi unitevi".
Incredibilmente, con i buoni libri funziona sempre.



13 aprile - alfabeto


Alfabeto (s.m.): L'insieme delle lettere che in una data lingua si usa per formare parole.
La parola ha una sua etimologia autoreferenziale: alfa e beta sono le prime lettere dell'alfabeto greco, che a sua volta è uno dei primi alfabeti. Dicendolo in italiano, diremmo "abbiccì": cioè l'elenco delle prime cose da conoscere di qualsiasi argomento.
L'alfabeto ha un suo ordine, l'ordine alfabetico: a quest'ordine si ispirano i dizionari e le enciclopedie, i registri di classe, gli stradari e gli elenchi toponomastici in fondo agli atlanti (uno dei pochi posti in cui Roma e Romania sono vicine, e Parigi confina con Parma).
L'alfabeto non si impara: si scopre. A un certo punto appare, ed è magico. Dà importanza a cose che potrebbero non averne: come Domodossola.
Nell'alfabeto, tutto ha importanza: premessa necessaria a fare scoperte.

14 aprile - banco


Banco (s.m.): Tavolo o tavolaccio atto a diversi usi, in particolare quello scolastico.
La parola 'banco' si diffonde in Europa nel Medioevo a partire dal germanico 'banch', a indicare un asse che diventa panca o tavolo, anche provvisorio. Sui banchi si fanno commerci (banchi di frutta, ma anche banchi dei pegni), si esercitano professioni, si impara, ma si dà anche spettacolo (tenere banco, ma anche i mestieri del saltimbanco e del cantimbanco). Sui banchi si mangia, ed è banchetto.
Al femminile diventa 'banca': tranne quando è banco dei pegni, restando al maschile. Banco e banca indicano l'uso di un tavolo come luogo di scambio e di commercio, nella sua funzione relazionale. Il banco, la banca: due ricchezze diverse.
Sul banco proverbialmente non bisogna scrivere: eppure tanto di ciò che nel libro non si trova finisce sul banco, intorno al libro.



15 aprile - intimo


Intimo (agg. e sost.): Ciò che più che interiore, dal superlativo assoluto latino "intimus" (di cui interiore è il comparativo).
Intimo come aggettivo si ritrova in formule ricorrenti come "piacere intimo" o "amico intimo", come sostantivo definisce ciò che è "l'intimo", ciò che sta dentro e per traslato ciò che sta subito fuori (l'intimo come "biancheria").
Intimo è aggettivo potente, nel senso che definisce qualcosa che sfugge alle definizioni: in questo senso la lettura è spesso un piacere intimo, più che un piacere solitario. Intimo quando ciò che leggiamo (ma anche ciò che scriviamo, ciò che viviamo) tocca direttamente qualcosa che non sapevamo di star sollecitando. Ciò che è dentro e che non è visibile da fuori.
"Il personale è politico", dicevano le femministe e quindi altri movimenti negli anni Settanta: più poeticamente, solo ciò che è vissuto intimamente ci consente di imparare, e di cambiare il mondo. O di spaccarlo.



16 aprile - colore


Colore (s.m.): Roba complicatissima da definire ma normalmente immediata nella percezione. Il colore è una qualità visiva delle cose, che dipende dalla lunghezza d'onda della radiazione luminosa.
Istintivamente, siamo abituati a classificare le cose anche in base al proprio colore, e i libri non fanno eccezione. Pure, nel parlare tecnico, il "colore" sembra essere una qualità superficiale di una scrittura: certe cose si inseriscono "per fare colore" o "hanno un certo colore".
Così, non è strano che i generi letterari vengano definiti per tinte: così il "giallo" (dal colore delle copertine), il "noir" o "dark" (dal senso associato normalmente al nero come lato oscuro di qualcosa), il "rosa" (nella cronaca "rosa" giustapposta a quella "nera", nel romanzo basato sul racconto di vicende amorose non troppo erotiche - altrimenti è rosso o grigio).
I colori, e così i generi, sono invece vitali, e definiscono insieme la "tavolozza" usata da uno scrittore.


17 aprile - rubrica


Rubrica (s.f.): Da leggersi preferibilmente con l'accento sulla i, una rubrica è sia un quaderno su cui appuntare numeri e indirizzi, che un contenitore fisso per giornali, radio, televisioni e pagine Facebook.
'Rubrica' viene dal latino 'ruber', rosso: è il colore del minio (da cui anche i codici "miniati" e le "miniature"), usato per evidenziare i capilettera e i titoli importanti, e i nomi stessi delle leggi (che ancora oggi vengono "rubricate").La rubrica propone quindi, istintivamente e naturalmente, un ordine diverso da quello della lettura: l'ordine alfabetico (i capilettera rossi stanno direttamente per le lettere) o quello con cui si inseriscono le note.
Rispetto a un testo, alcune note costituiscono un commento ricorrente, un testo parallelo che dà forse senso ad alcune 'rubriche'.
Una rubrica insegna, qualunque significato abbia, a trovare nuovi ordini in una serie di informazioni: non a leggere, ma a rileggere.


18 aprile - raccontarsi


Raccontarsi (v. riflessivo): Dire la propria storia, ad altri o a se stessi. Raccontarsi è azione solitamente diversa dal raccontare, è più rischiosa e va a toccare anche ciò che non sempre si racconta. Raccontarsi è un lavoro intimo.
Etimologicamente "raccontare" è un derivato di "contare", nel senso di narrare. Si racconta quando si ripete un racconto: ma nel caso del raccontarsi, questo racconto cambia con l'interlocutore, con i nostri pensieri. Scrivere è trasformare ciò che si sa.




A sua volta, "contare" viene da "computare" (in entrambi i suoi significati): quando si racconta, attraversiamo ordinatamente i fatti, computandoli. Quando ci raccontiamo, questo metter ordine nei fatti è anche mettere ordine in se stessi.
Da ancor prima della psicanalisi, raccontarsi ha un potere curativo; se raccontarsi cura, "raccontarsela" evita la sofferenza. Non siamo solo ciò che abbiamo vissuto, ma anche come lo raccontiamo: le storie offrono nuove prospettive, ci fanno riconciliare con ciò che è stato e con ciò che non poteva essere, ci restituiscono il futuro.

19 aprile - continua


(Continua...) (voce del verbo Continuare): Formula sintetica che appare alla fine della puntata di un fumetto, di un feuilleton, di un serial televisivo, a indicare che la puntata finisce, ma la storia continua. È stata usata a lungo nella segnaletica stradale quando ancora presentava scritte in italiano.
(Continua...) è una formula che ha conosciuto un certo successo, almeno a partire dai romanzi pubblicati su quotidiani nell'epoca d'oro del romanzo. Da lì si è trasferita ad altri mezzi di comunicazione, con formule (rigorosamente tra parentesi) come l'inglese (to be continued) e il francese (À suivre...), che ha dato il titolo anche a una prestigiosa rivista di fumetti.
(Continua...) non è una promessa, ma un'indicazione di lettura, un'istruzione per l'uso: chi legge è invitato ad aspettare e a chiedersi che cosa accadrà. Ci ricorda che la lettura è un'azione complessa e ricca, che avviene in gran parte lontano dal testo.



20 aprile - non detto


Non detto (negazione di un participio passato): Ciò che rimane implicito in un discorso, a volte anche in generale tutto ciò che viene taciuto. Ci sono diverse figure retoriche che insistono sul "non detto" e la principale è l'ellissi.
Il "non detto" è ciò che distingue la scrittura creativa da quella tecnica o informativa: in un manuale di istruzioni non si può tacere qualcosa di importante, così come in un libro di testo non si dovrebbe "non dire" qualcosa che poi verrà chiesto all'esame. In un articolo di giornale si dovrebbe dire tutto, e un lettore attento potrà valutare lo stile di comunicazione in base a ciò che viene taciuto più che ascoltando ciò che viene raccontato. Così, parlando di letteratura, anche a scuola, varrebbe la pena ogni tanto chiedere non tanto "cosa vuol dire l'autore" ma anche "cosa non sta dicendo l'autore".
(Un esempio concreto: io ho scritto "ogni tanto", intendendo e lasciando capire 'sempre' - non detto didattico e di cortesia).


21 aprile - brano


Brano (s.m.): Pezzo strappato a un tutto: la parola rimanda al verbo "sbranare" e al "brandello". Il brano è lì, dove l'opera è stata servita sul libro di testo.
La letteratura è servita a brani, perché non si può leggere tutta: e a dirla così si pensa male, e si fa bene.
E allora diciamolo meglio: la letteratura è servita a brani perché così si fa quando si cucina per gli ospiti; si prepara un piatto che sia proporzionato all'appetito degli invitati, e ai loro gusti; si rispettano le intolleranze e le allergie; si crea il clima giusto perché si possa mangiare. E si serve in tavola, sempre, non parlando di cosa manca, e di come la cucina avrebbe dovuto essere - ma valorizzando piuttosto la scelta che abbiamo fatto, o semplicemente raccontando come quel brano sia qualcosa che vogliamo gustarci insieme.
La parola chiave non è più "senza" (il brano senza il tutto) ma "insieme" (condividere, gustare, conversare).

22 aprile - mio


Mio (agg. poss.): Qualcosa che mi appartiene. Un libro è "il mio libro" quando l'ho comprato, quando l'ho scritto, quando l'ho illustrato, quando l'ho tradotto, quando l'ho pubblicato, quando mi ci ritrovo.
Un autore è il mio autore quando lo pubblico, ma ancora di più quando sento che dice con le sue parole ciò che provo anche io.
Applicato alla lettura, applicato all'amore (per i libri, e all'amore tout court), l'aggettivo possessivo diventa una dichiarazione di condivisione e non di proprietà, non di controllo ma di appartenenza. È mio ciò che mi appartiene, e ancora di più ciò cui sento di appartenere.


23 aprile - corpo


Corpo (s.m.): Qualcosa per definizione intero, solido, evidente, organico. Oltre al corpo umano, auspichiamo queste caratteristiche al corpo costituzionale, a un corpo militare, agli scontri "corpo a corpo".
Corpo viene dal latino 'corpus' che ancora oggi utilizziamo quando vogliamo indicare un insieme di scritti che si tengono insieme: il corpus di un autore (a indicare la sua opera: gli scritti sono il corpo di chi scrive) o il corpus delle leggi. A sua volta corpus si collega a una antica radice indoeuropea 'kwerp-' che designa l'apparenza e la forma e per esteso il comporre e la bellezza stessa.
In un testo, il "corpo" è anche la dimensione del segno tipografico, mentre il "carattere" è il modo in cui si presenta: aggraziato, a bastone, e così via. Una bella inversione del modo in cui guardiamo a interiorità ed esteriorità.
Il corpo è l'evidenza di ciò che siamo: soffre, sfoga, esulta. Spesso la scuola rischia di essere un ambiente per cervelli liberi ospiti di corpi tenuti fermi: la vita non è questo.


24 aprile - lettore


Lettore (s.m.): Apparecchio o programma dedicato alla riproduzione di qualche strumento di comunicazione; persona che compie l'azione di leggere (lettore o lettrice).
Il termine è un calco dell'inglese 'reader', dal verbo 'read'. Il nostro 'leggere' viene dal latino 'lego' e da un omofono verbo greco: mantiene a lungo il doppio significato di leggere e di raccogliere, mettere insieme. Leggere è anche selezionare e costruire, un'azione non neutra, che privilegia a seconda del lettore alcuni o altri aspetti del testo. La lettura, dentro queste lingue, non si replica mai due volte uguale.



Read viene invece da un'altra radice, dal proto-indoeuropeo *re-i, che ha a che fare anche col 'contare' e con l'interpretare: da 'read' viene a sua volta 'riddle', indovinello (a sua volta uno dei nomi presi da Voldemort in Harry Potter). Radice simile, e piccolo scarto semantico: leggere è un'azione centrata più sull'oggetto di lettura che sul soggetto. Gli inglesi dicono più di noi "read it again": rileggi e capirai.
Il libro abita lì, in questo luogo ambiguo, dove a volte prevale la garanzia che il testo non cambierà, dove prevale l'oggettività del testo; e a volte invece vince il fatto che cambia chi legge e prevale la soggettività del lettore.


25 aprile - integrale


Integrale (agg.): Il contrario di raffinato, di adattato o di ridotto, a seconda dei contesti. Nell'editoria, in particolare in quella per ragazzi, "integrale" fa coppia fissa con "versione" o "edizione".
Integrale viene dal latino 'integer', non toccato e perciò puro, intero, cui nulla manca. Singolarmente, in campo alimentare, usiamo "puro" nel senso di raffinato, e lo opponiamo così a "integrale": coesistono due purezze e due purificazioni, una per integrità e una per selezione.
Nella letteratura, e nella lettura, "integrale" si avvicina alla visione originale dell'autore (nel cinema, infatti, questa espressione viene sostituita da "director's cut"): non è stata "adattata" da nessuno per ragioni di convenienza, di censura, di lunghezza.


I libri sono discorsi: ed è quindi naturale che si adattino al contesto e all'uso che ne fa chi li riporta; ma sono anche testi, e chiedono che li si possa trovare, da qualche parte, nella loro forza e nelle loro parole originali. Per una persona si usa l'aggettivo "integro", ma vale quasi lo stesso discorso: è importante, nel caleidoscopio di apparenze che abbiamo, che ci sia sempre un luogo di integrità. I libri, la scrittura, possono essere anche questo: ma può esserlo anche un gatto, un raggio di sole o una canzone.
Integrale non è "naturale": è qualcosa che si ricostruisce rimettendo insieme i pezzi e a volte controllando che nulla manchi.
Infine: oggi è il 25 aprile, festa della liberazione e della nascita di questa nazione. Una rinascita che è sempre un lento e doloroso mettere insieme tutti i pezzi. Buon 25 aprile a tutte e tutti.

26 aprile - dichiarazione


Dichiarazione (s.f.): Frase detta perché abbia conseguenze, e perciò dotata di un grado superiore di verità. Così per la dichiarazione di guerra, così per la dichiarazione d'amore, un po' meno per le dichiarazioni di un politico.
Le dichiarazioni possono anche avere valore legale: così la dichiarazione dei redditi o altre consimili. In questo 'dichiarare' è fedele alla sua radice etimologica: il latino de-clarare, rendere manifesto.




Di tutti i verbi che indicano il parlare, dichiarare è quello dalla natura più efficace: è davvero fare cose con le parole, è anche mostrare il lato potente della chiarezza.
Lo studio della letteratura dovrebbe essere anche studio dell'efficacia della parola: a partire dalle dichiarazioni e dalle poesie d'amore. Se non impariamo questo, non impariamo nulla.

27 aprile - seminario


Seminario (s.m.): Breve corso, di solito parallelo a un corso di studi: da qui il termine "webinar", contrazione di 'seminario web'. La parola indica anche (in origine, solo) una scuola destinata alla formazione dei preti.
La parola deriva dal latino 'semen', e il seminario era il posto dove si riponevano i semi, perché poi crescessero; analogamente il "conservatorio" era in origine un istituto per l'infanzia abbandonata, destinata a 'conservare' bambini e bambine (anche attraverso l'insegnamento della musica).
Nella scuola c'è questa idea di futuro, di formazione come cura contadina destinata a un raccolto, e convive accanto a un'urgenza di presente. Nessun seme, nessun corpo vivo si può conservare se non attraverso la vita (e forse questa è un'idea più moderna).
Siamo noi che facciamo nascere il nostro futuro (noi che cresciamo, noi adulti e noi bambini), e lo facciamo nascere ogni giorno.


28 aprile - gruppo


Gruppo (s.m.): Insieme di cose, più spesso di persone. Dei tanti nomi con cui le lingue indicano pluralità organizzate, il gruppo è meno organizzato della società, ma meno casuale della folla.
La letteratura è piena di gruppi (cenacoli, avanguardie, salotti, corti, riviste, caffè letterari...), perché certe voci acquistano senso solo quando c'è un dialogo. E un gruppo è anzitutto possibilità di dialogo e di ricerca comune.
Le antologie, però, privilegiano i singoli: perché da questi luoghi di condivisione sono emersi singoli autori. Eppure, la classe è essa stessa un gruppo e potrebbe dialogare: lavorare "in gruppo", per l'appunto. Che è una delle cose che serve di più, poi, nella vita vera: perché la bellezza e l'importanza delle cose che facciamo sta sempre in un gruppo.


29 aprile - anestetico


Anestetico (s.m.): Un preparato per l'anestesia, qualcosa che fa perdere sensibilità. Singolarmente, "anestetico" non è il contrario di "estetico", anche se condividono una sola etimologia (dal greco 'aisthesis', sensazione).
Estetico è ciò che mette al centro la bellezza o la sensazione prodotta. Anestetico è ciò che ci priva di sensazioni.
Abbiamo teorie dell'estetica; mancano forse teorie dell'anestetica, che ci dicano come e quando certe parole addormentano, distolgono, ci privano di sensibilità. Come certi discorsi servano a nascondere o a non dire.


30 aprile - apparato


Apparato (s.m.): Insieme di congegni, organi o persone che si coordinano per uno scopo comune. All'interno dell'editoria scolastica, "gli apparati" indicano a volte tutte le note, le schede e i materiali (d'autore e redazionali) che servono a "far funzionare" i testi.
Gli apparati sono materiali d'uso: sono davvero preziosi quando servono per aiutare a dar voce; diventano più ingombranti quando suggeriscono cosa chiedere ai ragazzi.
La letteratura ha bisogno di più apparati circolatori e di meno apparati digerenti.


amare parole