Francesco, 6 anni, intervista il musicista Bobo Rondelli
FRANCESCO - Oltre a suonare e cantare, che mestiere fai?
BOBO - Beh, cerco di lavorare il meno possibile, che se ci pensi è una gran fatica, una cosa che richiede tanto impegno. Pensa a tutte le volte che non ti va di fare i compiti e devi trovare un modo per non farli. A parte gli scherzi: per me cantare e suonare è diventato un lavoro, nel senso che gli adulti mi pagano per ascoltare i miei concerti, comprano i miei dischi e quindi vivo della musica che compongo e che suono. Forse cantare e suonare non dovrebbe essere proprio un mestiere, per farlo bene, ma io so fare questo e quindi...
FRANCESCO - Ma suoni solo per i grandi o anche per i bambini?
BOBO - In genere suono per i grandi, per il motivo che ti dicevo prima: i grandi mi pagano, mi permettono di vivere, di comprare da mangiare, i bambini non hanno soldi. Ogni tanto però vado a suonare nelle scuole.
FRANCESCO - Sei andato a scuola da piccolo? Quali erano le cose belle e le cose brutte, per come te la ricordi?
BOBO - La cosa bella per me era quando finiva, d’estate, quando si andava a giocare... E poi la domenica, quando non ci si doveva andare. L’altra cosa bella era stare con i compagni, qualche volta anche a scuola...
FRANCESCO - Meno male. Ma senti, a scuola io ci devo andare: secondo te come si può fare perché mi piaccia un po’ di più?
Arianna, 7 anni, intervista l'ingegnere Franco Giovannini
ARIANNA - Mi hanno detto che sei un ingegnere, che lavori con le nuove tecnologie e che le usi per farmi leggere e imparare meglio e di più, a scuola e a casa. Non sono sicura di aver capito bene che mestiere fai... me lo spieghi?
FRANCO - Leggere e imparare è una cosa che si fa da quando esiste la scrittura. Fino a poco prima che tu nascessi lo si faceva soprattutto con i libri, quelli di carta. Da pochi anni esistono anche altri strumenti: il computer, Internet, quelle che appunto gli adulti chiamano le “nuove” tecnologie. Questi strumenti sono utili per tantissime cose, anche per imparare. E allora a qualche ingegnere è venuto in mente: “mettiamo i libri nel computer!”. Ma quelli che facevano i libri hanno detto: “mica basta mettere un libro nel computer per farlo diventare migliore!”.
E da lì è iniziata una discussione fra gli esperti di libri e gli esperti di computer.
Ecco, quello che faccio è lavorare assieme agli esperti di libri per capire con loro come la tecnologia può essere messa al servizio di chi va a scuola e impara. Le migliori idee che ci vengono le trasformiamo in progetti e le realizziamo insieme a tante altre persone. E poi – importantissimo! – cerchiamo di capire se funzionano, ovvero se aiutano davvero a studiare e apprendere meglio, vedendo all’opera chi – come magari te – sta iniziando a usarle.
ARIANNA - Quest'anno nella classe di mio fratello hanno "fatto il coding", nella mia no. Che cos'è questo "coding"? Vale la pena che proponga alla mia insegnante di farlo anche noi, in classe, il prossimo anno?
FRANCO - Ogni volta che fai qualcosa su un computer (o su un telefono, o su un tablet...) il computer esegue delle istruzioni per rispondere ai tuoi comandi. Questo succede sempre, ma proprio sempre: quando clicchi su un pulsante per far partire un video, quando fai una ricerca su Google, quando fai 2+2 sulla calcolatrice. Dato che fanno milioni di cose, questo vuol dire che i computer contengono milioni di miliardi di istruzioni!
Domanda: e chi ce le ha messe dentro queste istruzioni? Risposta: i programmatori, quelli che di mestiere fanno il “coding”. Insomma, il “coding” è il modo con il quale noi umani diamo le istruzioni ai computer per fargli fare quello che vogliamo. Il bello è che può essere anche molto divertente, quindi: consigliato! Ma se a scuola ti proporranno un corso di musica,
di scacchi o di inglese non preoccuparti, avrai altre occasioni di imparare a programmare se lo vorrai!
ARIANNA - Facciamo un gioco: sei un mago e puoi trasformare i libri e la scuola per farci stare un po' meglio chi ci deve passare tante ore... che cosa t'inventi?
FRANCO - Che bella domanda… vediamo. Io vorrei questo: un libro che ti guarda bene negli occhi e si trasforma per farti capire meglio le cose difficili. Un libro che dopo un po’ che leggi e studi, molto gentilmente, ti chiede: “hai capito?” e se tu rispondi “uhm... sì... forse... non tanto...” pazientemente sorride (sì, vorrei anche un libro che sa sorridere) e ti fa vedere le cose in un modo diverso da prima, finché tu dici:
Axel, 8 anni, intervista l'illustratrice Giulia Orecchia
AXEL - Mi piacciono le filastrocche di Bruno Tognolini. Lui dice che sei una “streghetta dei colori”... che significa?
GIULIA - Bruno, che è un mio amico, dice che faccio magie con i colori perché di mestiere faccio l’illustratrice di libri per bambini. Li leggo e tiro fuori le forme e i colori che mi sembrano più adatte a farti capire e immaginare il testo.
AXEL - Come sei diventata un’illustratrice?
GIULIA Quand’ero piccola mi piaceva disegnare: era una cosa che mi dava molta gioia, molto piacere. Mi dicevano che ero brava, e questo mi ha incoraggiato a continuare... ho incontrato tanti insegnanti bravi e generosi con me, che mi hanno insegnato molte cose e mi hanno aiutata a sfruttare al meglio le mie capacità.
Emilia, 9 anni, intervista i librai Elena Zucconi e Sergio Salabelle
EMILIA - Perché vi chiamate Les Bouquinistes?
ELENA e SERGIO - Noi ci chiamiamo Elena e Sergio. La nostra libreria, come tutte le librerie del mondo, vende libri e vende le storie che quei libri raccontano. Per distinguersi dalle altre librerie del mondo ha un nome che la contraddistingue e una città che la ospita, Pistoia. Abbiamo preso in prestito il suo nome dalla lingua francese e dai venditori di libri usati che si trovano sul lungosenna parigino e che espongono i loro volumi in scatole di legno, tutte colorate di verde, appoggiate sulle spallette dell'argine, le une accanto alle altre, come se fossero una serie continua di negozi. Parigi è una città che amiamo e che molto ha influenzato la nostra libreria che è nata, come les bouquinistes francesi, vendendo libri usati.
Ma torniamo a quelle scatole di legno, per un attimo. La sera, quando si avvicina l'ora di cena, quelle scatole vengono chiuse, con tanto di catene e lucchetti perché i libri sono oggetti preziosi e vanno protetti...
EMILIA - Da che cosa vanno protetti?
ELENA e SERGIO - Dai ladri, tanto per cominciare. Dagli agenti atmosferici... i libri non possono uscire sotto la pioggia! Ma soprattutto da chi pensa che un libro sia solo un po' di carta e un po' d'inchiostro, due oggetti molto comuni e di bassissimo valore.
EMILIA - Ma i libri sono fatti di carta e inchiostro!
ELENA e SERGIO - Beh, è vero, anche se adesso ci sono anche quelli digitali, come questo che stai leggendo. Comunque tu li legga, i libri contengono anche tutta la fantasia di questo mondo. È sicuramente l'argomento che il libro tratta o la storia che racconta a renderlo prezioso. Ma anche i ricordi personali che a quel particolare libro, a quella particolarissima storia, sono indissolubilmente legati. Il primo libro dell'infanzia, di quando eravamo piccolissimi, ma con il quale giocavamo in continuazione, tanto per fare un esempio. Tutti ne hanno uno che a volte si è miracolosamente
salvato dalle nostre distruttrici mani infantili, o forse no. Spesso sono libri consumati, disegnati, con scarabocchi colorati da matite o pennarelli. È il libro Numero Uno, un po' come il primo centesimo guadagnato da Paperon de' Paperoni. "Qual è il tuo libro preferito?". È una domanda che ci sentiamo rivolgere spesso ma che ci accende subito l'idea di una storia. Il nostro libro preferito, quello che vale di più, è la storia che ci è piaciuta di più. E spesso il libro preferito non rimane da solo, ma ce ne sono tanti altri, che nel corso del tempo, gli si affiancano per fargli compagnia.
EMILIA - A proposito di Paperon de' Paperoni… quanti soldi valgono i libri che vendete?
ELENA e SERGIO - I libri hanno un valore economico. Così come si compra la schiacciata
o la merenda per fare colazione la mattina, si acquista un libro. Un po' di denaro per avere quel poco di carta, d'inchiostro e di fantasia che permette ad un libro di trasformarsi in una bellissima avventura.
Ma non è facile capire quanto vale un libro. Lo è un po' di più per quelli nuovi. Chi pubblica il libro ci scrive anche il suo prezzo, di solito in fondo, scritto piccolo, nell'ultima pagina o nel risvolto di copertina.
EMILIA - Ma i libri vecchi? Valgono di più o di meno di quelli nuovi?
ELENA e SERGIO - Dipende da tantissime cose. Da quanto è raro un libro, se è difficilissimo da trovare, una copia varrà molto di più. E se ci sono degli scarabocchi... beh, dipende da chi li ha fatti quegli scarabocchi.
Se è l'autografo dello scrittore famoso che lo ha scritto il valore di quella copia sarà sicuramente più alto. Se gli scarabocchi sono gli appunti di un pittore o di uno scrittore importante il valore continuerà a crescere.
Ma non lasciatevi ingannare. Per chi i libri li legge, il loro vero valore è la storia che raccontano.
Nella nostra libreria ne abbiamo tantissimi di libri fuori catalogo. Scrivere “vecchio” mi sembra una brutta parola, nei confronti di un libro. Ne abbiamo moltissimi dicevo anche di libri dedicati ai bambini, ma che venivano letti dai vostri genitori quando erano piccoli o addirittura, qualcuno, molto più fuori catalogo degli altri, forse veniva letto dai vostri nonni.
EMILIA - I bambini possono venire nella vostra libreria?
ELENA e SERGIO - C'è un bel tappeto in libreria, sul quale appoggiamo tantissimi morbidi cuscini per accogliere i bambini che ci vengono a trovare. È un bel posto dove sdraiarsi durante i pomeriggi invernali che invitano alla lettura. E lì, spesso, ci troviamo a cercare qualche bella storia che possa piacere a tutti perché, secondo noi, il bello dei libri è leggerli ad alta voce. . É un modo per vivere un momento da trascorrere insieme. Adulti e bambini, tutti ad ascoltare la stessa storia. La nostra libreria più che ai bambini, però, è rivolta agli adulti. Perché per far sì che i bambini diventino dei lettori ci vogliono degli adulti che diano loro il buon esempio, leggendo.
EMILIA - Me lo dicono tutti che leggere "fa bene". Ognuno ha il suo motivo e la sua spiegazione. Voi che dite?
ELENA e SERGIO - Leggere fa bene perché è divertente, si imparano moltissime cose senza nemmeno rendersene conto. Lo si può fare praticamente ovunque, da soli o in compagnia, leggendo ad alta voce.
Leggere ci può aiutare in mille modi diversi. Un libro è un buon compagno se siamo soli, ci rallegra se siamo tristi, ci permette di sognare, di pensare, di giocare con la fantasia e soprattutto ci dà la possibilità di vivere un sacco di avventure, perché chi legge diventa il protagonista di tutte le storie che sta leggendo.
Clara, 10 anni, intervista la psicoterapeuta e fotografa Marina Ballo
CLARA - Ciao Marina, che mestiere fai?
MARINA - Sono una psicoterapeuta infantile: un’adulta amica dei bambini che cerca di capire che cosa li fa sentire tristi per trovare insieme la strada per sentirsi felici. In questa ricerca ascolto, do aiuto e ricevo l’aiuto dei genitori. Faccio anche la fotografa, realizzo dei progetti con la fotografia e con i video. Molte volte faccio foto e video insieme ai bambini e ai ragazzi e poi guardiamo insieme quel che viene fuori, ne parliamo.
CLARA - Insegni ai bambini a fare le fotografie?
MARINA - No, ai bambini propongo di giocare con la fotografia per scoprire insieme alcune cose che spesso si danno per scontate e che invece forse non lo sono. Per esempio: fare
fotografie non significa solo tenere dritta la macchinetta, significa entrare in relazione con le cose e le persone che si hanno intorno. Quindi una foto non è mai qualcosa che contiene solo informazioni. Quasi sempre, quando è spontanea, una foto è un’esperienza che ha dentro emozioni, ricordi, affetti, speranze modi di stare al mondo, voglia di cambiarlo, di curarlo, di scoprirlo…
Ti faccio un esempio: qualche tempo fa ho incontrato i bambini di II e III elementare di un paese che si chiama Cassano d'Adda. Ho dato a ciascuno una macchinetta usa e getta. Ho proposto a ciascun bambino di fotografare 3 tipi di oggetti: qualcosa che sentivano come “proprio”, o che amavano molto; qualcosa che faceva parte del momento della ricreazione
a scuola; qualcosa che incontravano nel percorso da casa a scuola. Sono venute fuori delle foto molto belle: una bambina di spalle, per esempio, con i lunghi capelli raccolti; una che aveva tanti ciuffi davanti al volto. Non erano “ritratti”, come quelli di un quadro o come le foto che stanno sulle patenti, sulle carte d’identità: erano gli sguardi delle bambine e dei bambini sui loro compagni. Erano vere foto, piene di rapporti e di magie, di cose che si capivano e di cose che stavano al di sotto e dentro le immagini (gli affetti, il caso, la voglia di giocare...).
CLARA - Mi hanno fatto vedere delle tue foto: ci sono parchi, sassi, monumenti antichi, persone, paesaggi, rotaie. Mi sembra che spesso fotografi le cose “dal basso” o “di lato”… perché?
Perché mi sembra che spesso siamo abituati a pensare di poter conoscere le cose quando le vediamo tutte insieme, o di fronte, o nella forma che gli adulti ci insegnano essere quella “giusta” per riconoscerle. Io invece faccio le foto ad altezza di un bambino piccolo. Da questa prospettiva mi sembra si possano riscoprire le cose quotidiane che ormai non vediamo più. Mi piace meravigliarmi ogni volta di come le cose e le persone ci mostrano aspetti sorprendenti di noi stessi e di loro se proviamo a guardarle di lato, dal basso, rasoterra… ogni cosa, ogni persona dà e riceve bellezza e novità attraverso gli sguardi degli altri, se questi sguardi non partono da pregiudizi e saperi preconfezionati. Il complimento più bello sul mio lavoro non a caso me l’ha fatto una bambina, una delle bambine di Cassano d'Adda. Abbiamo parlato un po’
e lei mi ha detto: “ma allora tu fai le foto con l’occhio, non con la macchina!”.
CLARA - Adesso ti faccio una domanda difficile: come dovrebbe essere una scuola in cui i bambini non diventano tristi e stanno bene?
MARINA - Secondo me il futuro della scuola è il gioco. Abolirei tutto ciò che è apprendere senza giocare. Mi piacerebbe che i bambini potessero uscire quasi ogni giorno da scuola per fare esperienze di ogni tipo, in gruppo. E poi vorrei che i bambini potessero fare musica, usare la voce e il canto in varie maniere, fare video e cinema, fotografia, teatro e poesia. Anche il contatto con gli animali e con la natura è importante. Mi piacerebbe che tutti potessero fare attività di movimento. La scuola dovrebbe
Elettra, 9 anni, intervista l’architetto Mario Cucinella
ELETTRA - Mi hanno detto che sei un architetto e che provi ad aiutare i bambini a stare meglio a scuola. Come fai?
MARIO - L’architetto è un qualcuno che progetta lo spazio, disegna i luoghi dell’abitare. Quando progetto scuole, mi piace fare in modo che siano rispettose della natura, che entrino il rapporto con quel che c’è intorno e che siano belle. Spesso faccio “progettazione partecipata”, che viene fuori così: bambini, insegnanti, genitori di una scuola mi dicono come vorrebbero che fosse fatta. Io li ascolto, metto insieme questi desideri e poi si apre per me un grande spazio di creatività, disegno e progetto, per creare uno spazio in cui tutti possono star bene.
ELETTRA - Perché lavori così?
MARIO - Perché vorrei farti dire sempre meno: “Non voglio andare a scuola!”.
Penso che per stare bene in uno spazio sia necessario riconoscerci qualcosa che ci piace, e dunque nelle scuole che progetto cerco di inserire gli elementi che mi hanno suggerito i bambini di quel territorio, per realizzare la scuola dei sogni e farla diventare realtà: la natura, il verde, le luci, il gioco.
ELETTRA - E tu, che scuola sogni?
MARIO - Sogno una scuola che sia un grande gioco per crescere, uno spazio in cui conosci il mondo di fuori facendo esperienza, muovendoti, osservando la natura. Che ne pensi? Non sarebbe bellissimo?
Amina, 8 anni, intervista il pediatra Paolo Sarti
AMINA - Che mestiere fai?
PAOLO - Sono un dottore, dottore dei bambini, insomma: un pediatra. Mi prendo cura della salute dei bambini dalla nascita fino ai 14 anni. Aiuto i tuoi genitori a curarti quando ti ammali e gli do consigli per farti crescere sano, curioso e... pieno di vita.
AMINA - Mi aiuti a crescere sana anche quando sto a scuola?
PAOLO - Certo, mi occupo della tua salute anche quando sei a scuola: del cibo che mangi, che sia sano ed equilibrato... ed anche che tu non mangi troppo! Ma mi occupo anche di far sì che la tua aula sia luminosa, confortevole e priva di pericoli. Mi interessa molto che anche a scuola tu possa muoverti,
senza passare troppe ore fermo a sedere e stare spesso anche all'aria aperta, anche quando fa freddo; così quando parlo con le insegnanti mi raccomando sempre di far entrare il sole e l'aria nelle aule aprendo spesso le finestre e di portarvi fuori con regolarità, senza paura del freddo. Ci si ammala molto meno vivendo all'aria aperta!
AMINA - Come si potrebbe fare per stare di più all’aria aperta durante le ore di scuola?
PAOLO - Mi piacerebbe che in ogni scuola ci fosse un bel giardino dove poter fare un orto: potreste decidere cosa piantare, zucchini? cetrioli? pomodori? A voi la decisione. Poi si lavora la terra, si mettono i semi e le piantine.
Tutto ben regolarmente annaffiato e poi il giusto tempo dell'attesa per avere il raccolto: saper aspettare per vedere i frutti del proprio lavoro è una dote che s'impara... anche facendo l'orto. Ci sarebbe lavoro per voi per tutto l'anno e che soddisfazione mangiare a scuola i frutti del vostro lavoro! Ne avanzerebbero anche per portare qualcosa ai vostri genitori!
UN'INTERVISTA PER GENITORI E INSEGNANTI
Paolo Sarti parla con gli adulti di crisi della genitorialità, gestione delle emozioni, tempo veloce e cura della lentezza.
Matteo, 7 anni, intervista la sessuologa Roberta Giommi
MATTEO - Ciao Roberta, io sono Matteo, faccio la seconda. Tu chi sei? E che fai?
ROBERTA - Sono una psicologa e una psicoterapeuta. Parlo con gli adulti e con bambine e bambini quando ci sono dei problemi e delle difficoltà per aiutarli a risolverli. Da molti anni mi occupo di educazione affettiva e sessuale: spiego ai bambini e alle bambine come imparare a vivere le emozioni, i sentimenti, come conoscere il proprio corpo e come scoprire cosa accadrà di bello nel crescere.
MATTEO - Parli anche con i bambini nelle scuole?
ROBERTA - Sì, a scuola passate tanto tempo insieme e ritengo utile che impariate a
conoscere e capire cosa vi piace/non vi piace, condividere le parole e saper giocare insieme. Se poi qualcuno è triste, un po’ isolato o isolata, vado nelle classi per far conoscere e ascoltare le emozioni, costruire l’amicizia.
MATTEO - Che cosa mi potresti far fare a scuola per costruire l’amicizia?
ROBERTA - Mi piace pensare ad un grande disegno fatto da tutti e tutte insieme. Costruire un cerchio di parole e immagini che raccontino il futuro. Penso sempre che saper condividere pensieri, progetti, risate, sia un bel modo per crescere. Saper disegnare gli affetti e le amicizie: di questo mi occupo incontrandomi con bambine e bambini.
Isacco, 9 anni, intervista il giurista Ugo Mattei
ISACCO - Mi hanno detto che sei un professore di diritto all’Università... che significa?
UGO - Vuol dire che insegno a ragazzi grandi, di 20 anni, che desiderano diventare avvocati. Faccio anche l’attivista dei beni comuni, cioè do una mano dove le persone lottano contro l’ingiustizia.
ISACCO - Dai una mano anche a far star bene i bambini a scuola?
UGO - Dal mio punto di vista sì, perché a scuola tu stai bene se tutti ci possono andare e stare bene. Purtroppo chi va a scuola non lo sa ma è molto fortunato. Io dedico tutta la mia vita a lottare contro l’ingiustizia di un mondo in cui troppi ragazzi a scuola non ci possono andare perché ci sono guerre, carestie e povertà.
Il primo modo di lottare contro l’ingiustizia è sapere che c’è, e che si può cambiare il nostro modo di vivere con gli altri, e anche di avere rapporti con la natura. Ho scritto un librino che si chiama “L’Acqua e i beni comuni raccontati ai ragazzi e alle ragazze” che in certe scuole viene usato e che spero faccia bene a chi lo legge.
ISACCO - Posso fare qualcosa anch’io per stare meglio a scuola?
UGO - Sì, e in verità è molto facile. Il primo passo è riconoscere la fortuna che hai di poter andare a scuola. Poi tu e i tuoi compagni fate l’esercizio di pensare sempre come un “noi”, non come un “io”. Quando decidete, fatelo sempre insieme.