Mille e una matematica

PER I 70 ANNI DI BRUNO D'AMORE
a cura di Silvia Sbaragli

Indice




Premessa di Silvia Sbaragli

Sezione 1 - Tra scuola e ricerca

Sezione 2 - Matematica dappertutto


Sezione 3 - Racconti

Sezione 4 - Esperienze dalle scuole

Buon compleanno Bruno!

Premessa


di Silvia Sbaragli


Questo testo è stato pensato e realizzato da Giunti Scuola in collaborazione con l’NRD (Nucleo di Ricerca di Didattica della matematica) dell’Università di Bologna per festeggiare i 70 anni di Bruno D’Amore.
È l’occasione per ricordare la ricchezza di riflessioni e proposte che, in diversi ambiti del sapere, ha saputo comunicare a diversi interlocutori: docenti universitari e del mondo della scuola, persone comuni e allievi.
È proprio la sua principale forza quella di saper effettuare letture e riflessioni importanti a livello di ricerca in matematica, didattica della matematica, letteratura, arte ecc. riuscendo, allo stesso tempo, a parlarne con semplicità e chiarezza, appassionando così tutto il vasto pubblico che da anni lo segue con ammirazione e passione.
Sono proprio la curiosità, la creatività, la passione e la voglia di andare sempre più in profondità nei diversi aspetti del sapere, con il gusto che caratterizza un ricercatore, ad avere accompagnato la vita professionale e umana di Bruno D’Amore.


Tra i diversi interlocutori sono proprio i docenti, in questo caso, a volerlo festeggiare, riconoscendo tutto il significativo lavoro fatto per far amare la matematica e per farla apprendere in modo profondo. Il libro cerca di riprendere i vari aspetti caratteristici del suo lavoro di studioso: si passa da alcuni tra i tanti contributi relativi alla didattica della matematica tra scuola e ricerca ad ambiti anche distanti dal mondo matematico, senza tralasciare esperienze di classe che hanno messo in gioco i suoi insegnamenti, e si finisce con i saluti di alcune delle tante persone che hanno avuto la fortuna di lavorare a stretto contatto con lui, condividendo l’amore per la ricerca e la riflessione didattica.


Esperienze dalle scuole


Buon compleanno Bruno!


Ricerca, libri, bambini... dici poco?
di Tullia Colombo


Caro Bruno,
ho deciso di scriverti una piccola lettera: come tributo alla nostra amicizia, non solo alla nostra lunga collaborazione professionale.
Noi ci siamo conosciuti ormai vent’anni fa, ricordo bene come è andata: qualcuno – in quei primi anni del mio incarico di direttore editoriale in Giunti – mi parlò di te e del tuo grande impegno per formare gli insegnanti sui nuovi percorsi educativi aperti dalla ricerca in didattica della matematica. Io, curiosa e caparbia come sempre, volli venire a Castel San Pietro a vedere cosa succedeva nel tuo famoso Convegno, e poi tu mi invitasti a osservare cosa accadeva in uno dei tuoi incontri con il Nucleo di Ricerca in Didattica della Matematica di Bologna. Mi colpì il livello alto dell’attenzione e la ricchezza dei partecipanti: nessuno era escluso, dalla primissima infanzia alle superiori.



Subito decisi che non c’era tempo da perdere, e feci di tutto per farti entrare al più presto nel nostro gruppo. E da lì a lavorare continuativamente insieme il passo fu breve: cicli di formazione in giro per l’Italia, articoli e coordinamento di autori per "La Vita Scolastica", tuo ingresso nel gruppo di fondazione della nuova rivista “Scuola dell’Infanzia”, supervisione al lavoro di autori dei sussidiari per la scuola primaria, e autore tu stesso… Iniziava e si approfondiva la nostra collaborazione editoriale a tutto campo. Ma soprattutto iniziava e si approfondiva una bella e forte amicizia.
E ora anche di questo voglio parlare.
Ti ho avuto vicino, con Martha, in momenti felici e in altri difficili, con l’affetto e la generosità che sai esprimere.
Sei stato un punto di riferimento per i miei figli, che hanno imparato quanto siano importanti la riflessione sapiente e critica sul mondo e la determinazione a perseguire le proprie aspirazioni.


Sei amico disinteressato e affidabile che mi ha insegnato moltissimo, con serietà, senza prosopopea, sempre con attenzione, e rispetto.
E sai qual è la cosa straordinaria? Che amicizia solidale e amicizia professionale non si sono mai separate, si intrecciano sempre: proprio come piace a me, secondo un modo di concepire la vita così vicino al pensiero femminile elaborato con fatica e determinazione dalle donne in tanti anni.
Sei un amico che ha il pregio di spingere tutti a essere seri e a non accontentarsi, a non farsi sconti e andare sempre un passo più avanti, se la bussola è la conoscenza e la sua rielaborazione per la prassi. Questo vale in aula con i propri alunni e nella ricerca ad altissimi livelli, quando si scrive il testo di un problema o un saggio per una pubblicazione scientifica. Ho apprezzato la tua volontà – forse davvero sei uno dei pochi in Accademia che lo fa, almeno per la mia esperienza – di occuparti della scuola e degli strumenti dedicati alla formazione dei più piccoli e dei loro insegnanti.


Ricordi la prima richiesta che mi facesti? Liberare i libri di testo e le riviste professionali dagli errori matematici e didattici. E pian piano ci siamo impegnati a correggere luoghi comuni, consuetudini, false concezioni… Intanto insieme a questo mettevi a disposizione il tuo grande bagaglio scientifico per portare innovazione e applicare fin dalla prima scolarità i migliori risultati della ricerca.
Parlando, scrivendo, entusiasmando migliaia di docenti e, attraverso di loro e attraverso i nostri libri di scuola, formando decine di migliaia di bambini e bambine in tutta Italia.
Dici poco?
Un abbraccio immenso,
Tullia

Una Scuola dell’infanzia viva
di Maurizia Butturini


Nel mondo ci sono le terre ed i cieli
non sono divisi in scaffali
Nel mondo ci sono le fiabe e le arti
non sono divise in reparti
Nel mondo c'è un nido, che è la tua classe
uscendo non trovi le casse
Nel mondo ci sono maestri un po' maghi
Ci sono, non solo se paghi
Nel mondo il sapere che vuoi si conquista
Nel supermercato si acquista
E allora rispondi con una parola
Com'è che vuoi la tua scuola? (B. Tognolini)

L’avventura è cominciata tanto tempo fa, all’improvviso per me, quando ci siamo trovati a parlare di una nuova rivista per la scuola dell’infanzia e tu Bruno hai costruito per noi e insieme a noi, le fondamenta per questo prezioso strumento professionale.


Per presentare una buona didattica non basta l’esperienza diretta a scuola o avere delle buone idee; occorre riflettere e studiare, come abbiamo fatto con te, attraverso una formazione continua e competente che si accordi ai traguardi da perseguire, li delinei, li sostenga, li riveda e li affini nel tempo; è necessario documentare e raccontare con un linguaggio comprensibile, corretto e coinvolgente; bisogna pure approfondire ed evolvere, conciliando i saperi e i metodi consolidati alla ricerca pedagogica e ai cambiamenti che avvengono nel mondo, nei modi di vivere, di apprendere, di accedere a nuovi strumenti.
Un percorso sempre vivo di confronto, di scambio, di esplorazione di nuove strade, che hai animato e per il quale hai indicato dei presupposti e dei principi essenziali.


Credo sia stato questo viaggio a consentire alla nostra rivista e a tutti i progetti che l’hanno arricchita, di essere apprezzata dai docenti e utilizzata quotidianamente a scuola.
Quando dialogo con gli insegnanti o mi reco in visita nei luoghi dove operano, riesco a raccogliere il senso e il valore del lavoro fatto e le possibilità di sicurezza metodologica ma anche d’interazione creativa, di personalizzazione, che la rivista offre alle necessità di ognuno. Vi sono elementi, oltre alla competenza scientifica e alla formazione continua, che hanno sempre caratterizzato e orientato il tuo agire a favore della rivista e della scuola dell’infanzia e che io sento particolarmente significativi:



- riconoscere e intendere le interrelazioni che si costituiscono e si intrecciano tra saperi e linguaggi, contesti di esperienza, insegnanti e bambini;
- guardare all’esperienza diretta, al fare, al mettersi in situazioni problema, al provare, sbagliare… e ai discorsi dei bambini, come realtà sulle quali elaborare processi di ragionamento, di indagine, di confronto, di narrazione, di apprendimento;
- tenere assieme al rigore della conoscenza dei sistemi simbolico culturali e alla precisione strategica e metodologica, l’incontro con l’arte e la vita, per dare senso e bellezza all’esperienza educativa della persona che cresce;
- restare aperti al dialogo sul fare didattica, sui metodi di insegnamento apprendimento, su tutti gli elementi in gioco e saper comunicare bene e con chiarezza ogni aspetto.


Insieme a tutto questo ci sono i tuoi libri e le tue ricerche: hanno cambiato il modo di fare didattica della matematica (e non solo) nella scuola dell’infanzia.
La didattica per noi, grazie a te, è veramente “il cuore della relazione significante” (R. Iosa), poiché anima quel circuito insegnamento-apprendimento che rende la scuola dell’infanzia un luogo vivo, di saperi e cultura, bellezza e cura profonda, possibilità e felicità di imparare e di essere, insieme.

Cuori e menti aperti nelle classi-mondo
di Graziella Favaro


La scuola in questi anni…

La scuola in questi anni ha cambiato pelle. I racconti degli insegnanti e gli innumerevoli progetti che vengono condotti nelle classi-mondo fanno intravedere fatiche e tentativi, ma anche consapevolezze interculturali diffuse, pur se ancora non condivise e messe in comune. Che cosa ha imparato la scuola dalle situazioni di pluralità ormai consolidate e strutturali? Ha imparato ad affinare lo sguardo e l’attenzione verso le storie di ogni bambino e ragazzo, a vederne i bisogni, ma anche le competenze e i punti di forza. Ha imparato qualcosa di più sulla nostra lingua e le sue componenti, sugli usi diversi dell’italiano, sulle tappe e i modi dell’apprendimento da parte di coloro che non sono italofoni e gli sforzi di portata differente che essi devono compiere.


Queste acquisizioni sono un dato positivo anche per chi italofono lo è per nascita e appartenenza.
La scuola in questi anni ha verificato, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che nessuno impara se non si sente accolto e che apprendimento e buone relazioni vanno di pari passo e sono fortemente intrecciati. Ha imparato a essere curiosa, senza diventare invadente e intrusiva, a cogliere e sottolineare – oggi più che mai – le innumerevoli corrispondenze e analogie che ci uniscono e che ci rendono simili, al di là delle differenze che ci contraddistinguono. Gli insegnanti che lavorano nelle scuole multiculturali hanno cercato anche di rivedere la didattica, di ripensare i contenuti e l’approccio metodologico o di dare nuovo senso a contenuti da proporre a classi eterogenee per storia e riferimenti culturali.


Né per sottrazione né per addizione

Che cosa significa orientare la didattica verso un curricolo interculturale attento alla pluralità, alla necessità di una cittadinanza globale in un mondo che si fa sempre più vicino, interdipendente e connesso? Spesso l’approccio interculturale tende a seguire due direzioni polarizzate e divergenti. Da un lato, si procede per sottrazione: si alleggerisce il programma, si tolgono contenuti, si sorvola su feste e riferimenti culturali autoctoni in nome del rispetto per gli altri. Dall’altro lato, si procede invece per addizione: si aggiunge una “finestra interculurale” su un Paese, si integra il programma con qualche attenzione in più alle culture e alle storie degli altri.
Nell’uno e nell’altro caso, l’impianto curricolare resta lo stesso e si restringe o si dilata senza che siano rivisti l’impianto, il metodo, l’approccio didattico. Una didattica interculturale deve invece proporsi di allargare lo sguardo e i punti di vista, allenare i bambini e i ragazzi alla molteplicità e al cambiamento,


guidare gli alunni a fare esercizi di mondo scoprendo le differenze. Una didattica interculturale si basa sul riconoscimento reciproco, tiene conto degli apporti di ciascun gruppo e disvela gli intrecci profondi che intercorrono fra storie, culture, lingue. Pratica il riconoscimento delle lingue degli altri, dei saperi e del saper fare che ciascuno porta con sé, del patrimonio che ha visto e vissuto e che può mettere in comune. Da qualche tempo studiosi di discipline diverse cercando di delineano con tenacia e pazienza curricoli interculturali e di rivedere l’approccio alla storia, alla geografia, alla letteratura, alla matematica.
Una sfida aperta e ineludibile alla quale Bruno D’Amore dà il suo contributo sapiente e convinto guidando gli insegnanti, attraverso “La Vita Scolastica”, a educare ciascuno a essere cittadino del luogo al quale appartiene e a essere cittadino del mondo. Come lui è da sempre, con cuore e mente aperti e sguardo largo.

Numeri gentili
di Silvana Loiero


Bruno, ricordi ancora il dì che c'incontrammo? Io si, mi ricordo perché… e te lo rammento in 2 parole.
Era d’autunno… 1994… rimembro ancora quel tempo della mia vita mortale, quando beltà splendea negli occhi miei ridenti e fuggitivi, e io, lieta e pensosa, il limitare di gioventù salivo…
Salivo anche le scale dell’Università, dipartimento di matematica in Piazza di porta San Donato, e mi sentivo come Charlie Brown: persino le mie ansie avevano l’ansia!
Preoccupata, preoccupatissima per il compito da svolgere: un laboratorio sul tema della comunicazione da fare con i tuoi allievi! Avevo 100 appunti e 1000 cose da dire, mi preparavo da 15 giorni ma la mia apprensione era tremenda. Pensavo: e se dovessi confondermi e cominciassi a dare i numeri…? Che brutta figura farei con D’Amore…



La mia ansia divenne ancora più ansiosa dopo aver aperto la porta dell’aula magna: da tutte le parti vedevo occhi-fanali che mi fissavano. Sembravano 500, e invece era soltanto una 50ina di occhi incastrati nei gradini dell’aula magna.
La lezione cominciò. 20 minuti... 30… 45… 60… 75… E poi un sospiro di sollievo: la pausa caffè!
Non ci hai pensato 2 volte: “È stato bello!” mi hai detto…

Ho un certo “rispetto” per i numeri: percentuali, frazioni, equazioni, meritano deferenza. Però la mia considerazione scatta soprattutto di fronte all’approssimazione, all’indeterminatezza dei numeri usati nel parlare quotidiano.

Rimasi con te 15 minuti per 1 caffè, 2 risate, 4 chiacchiere, 4 battute… che intensità in queste quantità imprecisate, che significati profondi…
Le tue parole andavano oltre, superavano la cifra esatta:

D’Amore e d’accordo nella didattica
di Ivo Mattozzi


Quali sono i fili che possono intersecare la didattica della matematica e quella della storia? Sono tanti e importanti. Innanzitutto c’è un fondo comune costituito dai principi e criteri della didattica generale delle didattiche disciplinari. L’approccio epistemologico e metodologico dovrebbero caratterizzare e ispirare la mediazione didattica tra allievi e saperi in ciascuna disciplina. E poi ci sono le intersezioni virtuose. Dal suo canto, la didattica della storia può dare una mano nell’insegnamento della storia della matematica. La didattica della matematica è chiamata in causa nell’altra didattica per capire come insegnare la storia quantitativa e tutti i fenomeni storici che devono essere quantificati per risultare significativi.


Ma essa è particolarmente implicata nell’insegnamento della storia fin dalla prima scuola poiché è indispensabile per impostare l’educazione alla misura del tempo. Dunque, c’è solidarietà tra le due didattiche ed essa si manifesta anche nell’amicizia tra i cultori dei due campi disciplinari. Ma, come ho cercato di dimostrare in due saggi, per far capire quali sono i metodi e gli strumenti per misurare il tempo, occorre partire dall’idea che il tempo non esiste come ente e possiamo, addirittura, arrivare al paradosso che il tempo non conta e non è un problema di matematico. Ecco la prova. Considerando che un settantenne come Bruno, così vitale e produttivo, viene festeggiato da un settantaseienne come me, mi viene da pensare che il numero 70 che è l’espressione matematica che diamo al flusso di fatti vissuti da Bruno non sia espressivo di niente.


Matematicamente sono 70 x 365 + 17,5 = 25567,5 giorni. Vi risparmio il calcolo in minuti primi e in minuti secondi. Il risultato sarebbe sempre lo stesso: un tempo misurato vuoto. Invece, il tempo di Bruno è un flusso di affetti, di amicizie, di successi sportivi, di idee, di scritture, di apprendimenti e di insegnamenti, di prestigiosi riconoscimenti accademici. Insomma un tempo pieno D’Amore. Dunque, il tempo non è matematico, non è un problema del matematico. Lo constatiamo e possiamo tranquillamente augurare a Bruno la pienezza di vita senza che si contino gli anni.

Un sostegno di cittadinanza per la L2
di Maria Cristina Peccianti


Occupandomi da una vita di italiano L2, ho particolare motivo per apprezzare il lavoro di Bruno D’Amore e sono a lui particolarmente grata per aver sempre sostenuto, con argomentazioni scientifiche e grande passione pedagogica, l’importanza della didattica disciplinare.
L’italiano L2 è infatti una disciplina giovanissima, che come tutti i giovani stenta a trovare un suo posto nel mondo e che tende ad essere identificata, per analogie, ora con l’italiano lingua madre, ora con la lingua straniera. Ma non è né l’una né l’altra.
Mentre una lingua straniera (LS) è una lingua diversa dalla propria lingua madre che si può studiare, ma non si parla nel paese in cui si vive (come l’inglese per chi vive in Italia), una L2 è una lingua diversa dalla propria lingua madre che però si parla nel paese in cui si vive e che è quindi veicolo di tutti i rapporti sociali quotidiani ed è, per bambini e ragazzi, lingua della scuola.


A livello disciplinare una L2 non è assimilabile alla lingua madre, in quanto questa viene acquisita in modo “automatico” attraverso motivazioni neurofisiologiche e psicologiche profonde, si integra e si evolve con le tappe dello sviluppo psicomotorio e trova le sue radici nell’esperienza diretta. Ma una L2 non è neppure assimilabile a una lingua straniera, anche se il suo apprendimento ha tratti simili a quello di una lingua straniera: come una LS non segue infatti nessuna tappa privilegiata dello sviluppo ed inverte il procedere dall’esperienza alla lingua, tipico della lingua madre,


in un processo che va invece dalla lingua all’esperienza. L’italiano è dunque L2 per tutti gli immigrati che vivono in Italia e che hanno come lingua madre una delle tante lingue parlate nei loro paesi di origine ed è fuor di dubbio che, data la situazione immigratoria, si imponga oggi a scuola (e non solo) la necessità del suo apprendimento-insegnamento e l’opportunità di un riconoscimento delle sua identità disciplinare e didattica.
La storia ci insegna tuttavia come nella didattica, e nella scuola in genere, l’evoluzione sia sempre molto più lenta di quella sociale ed economica e, per la L2, nonostante il recente riconoscimento della classe di concorso, la strada da fare è ancora tanta.
Il sostegno competente e appassionato di Bruno alla didattica disciplinare è quindi particolarmente prezioso. A lui i miei auguri di buon lavoro e buona vita e un ringraziamento personale, per essersi sempre fatto carico delle mie osservazioni insistenti e puntigliose sulla piena cittadinanza della L2 nelle nostre riviste.

Questioni D'Amore
di Tiziano Pera


Qual è il valore della didattica disciplinare nei casi di Scienze e Tecnologie? Gli insegnanti dovrebbero dominare la disciplina accademica di loro pertinenza perché solo partendo di lì essi possono proporne una didattica come “ars docendi” che si sviluppi cioè come “epistemologia dell’apprendimento riferita a quella stessa disciplina” (1). Non ho alcun dubbio circa l’esistenza di una relazione profonda tra competenza e comprensione riferite ad una certa disciplina (2).
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(1) D’Amore B. (2003), “Le basi filosofiche, pedagogiche, epistemologiche e concettuali della Didattica della Matematica”, Pitagora Editrice, pp. 23-34.
(2) Per la Matematica vedi D’Amore B.. Godino J. D., Arrigo GF, Fandiño Pinilla M.I. (2003), “Competenze in Matematica”, Pitagora Ed., pp. 35-36.


Tuttavia so anche del piacere che ogni disciplina ci offre quando ci tuffiamo con lei nell’incertezza della vita liquida, fatta di eventi che cambiano già dal momento in cui ci cadono sotto i sensi. La sensualità dell’insegnamento sta proprio qui: nella consapevolezza di non potersi avvalere della sola formalizzazione accademica disciplinare, pure da dominare con la cura ed il rigore del caso, perché costretti a frequentare le regole della didattica in sé, fatte della relazione biunivoca tra insegnante e allievo.
Il valore della didattica disciplinare sta nella complessità che ne viene quando “il Sapere si trasforma in sapere da insegnare” (3), con tutto il “gioco” ed i gradi di libertà che le situazioni d’aula possono contemplare.

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(3) Fandiño Pinilla M.I., “Curricolo e valutazione in matematica” (2002), Pitagora Ed., pp. 35-36.


Mi sarebbe facile rivendicare il valore formativo ed educativo della didattica delle Scienze e/o delle Tecnologie, se non fosse che parlare di disciplina per le Scienze nella scuola primaria è praticamente impossibile e per le Tecnologie è del tutto prematuro (4).

Nota dell'autore
“2000 battute per” i 70 anni di Bruno significa 140.000 battute. Così, battuta dopo battuta, la musica o le risate vengono facili e il piacere è assicurato, com'è giusto che sia per le questioni D’Amore!! Auguroni caro amico ed esimio maestro!
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(4) Fino a pochi anni fa si parlava ancora di “Applicazioni tecniche”, da poco si è incominciato a parlare di “Tecnologia”, senza per la verità disporre di uno statuto ben definito e solo da pochissimo si tende a parlare di “Tecnologie” al plurale, riconoscendo la specificità delle differenti aree a cui il termine può richiamarsi.

Un disciplinarista indisciplinato
di Gianfranco Staccioli


Dicono di Bruno che sia un disciplinarista, e lui lo conferma. A riprova pone le esperienze del suo insegnamento, i suoi scritti, le sue conferenze, le sue “scintille”, che sono così tante da far somiglianza alla massima dantesca (che è poi il titolo di un suo libro) “più che 'l doppiar de li scacchi s'inmilla”. Per me Bruno non è un disciplinarista, casomai è un disciplinarista indisciplinato. Lui ha scritto di sé che è un uomo “ghiotto”. Mi pare corretto: questo lo porta a entrare in campi che non coincidono con la matematica. È ghiotto (oltre che di cibo) di poesia e di storia, di arte, di scienza, di giochi... È ghiotto anche di quelle che noi chiamiamo nella didattica “attività espressive”. Un ghiotto indisciplinato, come dimostrano le sue risposte alle lettere in "Scuola dell’Infanzia".


Dapprima cercava di convincere il lettore che la matematica si può fare con i bambini, se correttamente adattata. Poi si è scoperto sostenitore della matematica dei e nei bambini. Come dire: “uscite dalla disciplina per entrare nella persona”. Sarà per questa sua scoperta – che mi trova pienamente concorde – che non sappiamo come definire nelle nostre riviste le “attività espressive”, perché arte, musica, corpo sono tutti ambiti indisciplinati. Lo sono perché non fanno soltanto riferimento ai principi epistemologici, alle regole magne, alle strutture di base, ai linguaggi ecc. ecc. che le contraddistinguono. Fanno riferimento soprattutto alla persona. È la persona la sorgente e la depositaria delle conoscenze, deweyanamente parlando. Le discipline riguardano gli adulti, le loro conoscenze. Per far crescere nelle persone


(i bambini) la consapevolezza che ci sono regole, scoperte, conquiste che si sono formalizzate nel tempo, occorre che si parta rovesciando il problema: non dalle discipline ai bambini, ma i bambini come fonte di discipline. In realtà questo sta scritto anche nella storia. Disciplina deriva dal latino "discipulus", che vuol dire discepolo. Il fulcro di una disciplina risiede in chi è “discepolo”.
Il termine disciplina si è poi trasformato nel tempo ed è stato riferito non più al bambino, ma alla materia.
Compiuti i 70 anni, Bruno ci invita a rovesciare – come ha fatto nella sua rubrica – questo modo di pensare.
E come i 70 dotti che seguirono Mosè sul Sinai e con le 70 lingue che parlava Adamo, lo accompagneremo, in modo un po’ indisciplinato, per spiegare dove si trova la fonte disciplinare: nella mente dei bambini.

Di numeri, di date e di didattica dell'inglese
di Paola Traverso


Per insegnare le lingue straniere molti pensano che l'ideale sia un docente madrelingua. Ma quali sono gli ingredienti che concorrono a creare un buon docente di lingue per la scuola primaria? Sicuramente avere una buona competenza linguistica generale e specialistica. Occorre inoltre sapere come come avviene nei bambini l'apprendimento della lingua materna e delle lingue altre. Inoltre è necessario padroneggiare tecniche di glottodidattica per permettere agli alunni di acquisire la lingua straniera in maniera naturale attraverso giochi, narrazioni di storie, attività pratiche e manipolative, progetti interdisciplinari. Infine è importante saper utilizzare strategie adeguate per affiancare a queste attività momenti di osservazione e riflessione sulla lingua.


Considerata sotto quest'ultimo aspetto, la didattica della lingua straniera può avere molti punti in comune con la didattica di altre discipline come scienze, dove il focus è su osservazione- esplorazione-interpretazione, o come matematica dove il "fare" si lega al "pensare" per attivare le capacità logico-matematiche. In maniera analoga in lingua straniera attraverso un approccio ludico e multisensoriale è possibile far acquisire espressioni e modi di dire.

Per potenziare la competenza linguistica occorre però stimolare ad osservare e riflettere su forme e contesti d'uso della lingua, ponendo l'accento su somiglianze e differenze con l'italiano. Prendiamo ad esempio la data del giorno: Friday, 4th November, 2016. Oltre che all'uso dei numeri ordinali, l'attenzione può essere rivolta sul modo informale di leggere l'anno: twenty sixteen.


A proposito di date, c'è una data legata a Bruno che non tralascio di riportare sul calendario: la data del convegno di matematica a Castel San Pietro. Mi piacerebbe riuscire ad andare e comunque faccio in modo di non mettere nessuna iniziativa di lingue in quel periodo, sarebbe sprecata. Il flusso di docenti che ogni anno si reca a Castel San Pietro è impressionante. Quando il CCP (Competenza, Comunicazione, Passione) è altissimo, la forza che scaturisce è dirompente!
E allora per l'altra data importante, quella dei 70 anni di Bruno, una cascata di auguri e un grande ringraziamento.

Una lezione straordinaria
di Sergio Vastarella


Come ricorda spesso il professor Bruno D’Amore, la panacea didattica non esiste: è davvero ingenuo pensare che un unico metodo possa andare bene per tutti gli studenti, tutte le situazioni, tutti gli apprendimenti… poiché gli allievi hanno sensibilità diverse, il buon insegnante è quello che riesce a usare metodi, strategie e tipologie di materiali differenti tra loro.
E tuttavia debbo proprio a Bruno la mia passione per la Didattica Capovolta, che coltivo e di cui mi occupo da diverso tempo. Per me si tratta di uno strumento davvero eccezionale, duttile e coinvolgente e adatto a molte differenti situazioni d’insegnamento-apprendimento.
Le cose sono andate così.
Ho conosciuto Bruno nel 2010, quando è stato mio professore alla Facoltà di scienze della formazione primaria a Bressanone.


Sono passati solo sei anni da allora, ma a me sembra di conoscerlo da una vita! Spesso ridiamo ripensando al nostro primo incontro in aula… io mi guardavo attorno con circospezione, mentre lui era gentilissimo, disponibile, simpatico. Non riuscivo a capire… insomma (mi dicevo) lui è Bruno D’Amore!
Sono arrivato all’università dopo avere insegnato per più di dieci anni; avevo letto i suoi libri, insegnato con i suoi materiali, seguito le sue spiegazioni… come poteva essere così umile proprio quel Professor D’Amore? A distanza di qualche anno, conoscendoci poi a fondo, ho capito che quella è stata la prima delle molte e straordinarie lezioni che Bruno mi ha dato.
Ti ringrazio mio caro mentore e amico, sei davvero speciale.

Mille e una matematica
Per i 70 anni di
Bruno D'amore












Giunti Scuola, 2016
A cura di Silvia Sbaragli
L'immagine di copertina è tratta dalla nuova edizione di: Bruno D’Amore, Martha Isabel Fandiño Pinilla, "Matematica. Come farla amare" (GUS, Giunti Universale Scuola, 2016).