La scuola (multiculturale)
in un barattolo

a cura di
Graziella Favaro

Indice


*Introduzione - Che cosa metto nel barattolo
di Graziella Favaro

*Racconti

- Chaima. L'incontro con una nuova lingua e un nuovo mondo, di Maurizia Butturini

- Accogliere è cogliere. Ricchezza di una scuola dell'infanzia, di Rosaria Lucini Paioni

- Yamil. Emozioni in gioco, di Annalisa Soda e Adele Baldacci

- Sef. La gioia di vivere e di apprendere, di Eva Corradini

- Agit. Le lingue amiche, di Angela Maltoni


- Amina. Raccontare il mondo a partire da chi ci è vicino, di Bettina Ronchetta e Enrico Colomberotto

- Maria e Ştefan. Un amore del nostro tempo, di Riccardo Agresti

- Mei Huì. Pregiudizi e impegno, di Maria Frigo

- Milo, Fathima e tanti altri. Il doposcuola per chi si sente fuori posto, di Loredana D'Apote

- Feste e ospitalità, di Gilberto Bettinelli

- Partire dai piccoli, di Elisabetta Micciarelli

- Fare i conti con i pregiudizi, di Concetta Mascali

Introduzione - Che cosa metto dentro il barattolo


Una storia tradizionale racconta di un giovane che si recò un giorno da un saggio per chiedergli quale fosse il modo migliore per fare le scelte importanti per la propria vita. Il saggio allora prese un barattolo di vetro e vi mise una ad una e con molta cura delle pietre. Quando nessuna altra pietra poté trovar posto nel vaso, prese della ghiaia e, scuotendo leggermente il barattolo, la fece depositare negli interstizi. Prese poi della sabbia e riempì tutto lo spazio rimasto libero fra le pietre e i sassolini. E infine, versò nel barattolo dell’acqua che venne in fretta e interamente assorbita.
“Vedi,” disse il saggio al giovane “se non metti dentro il barattolo per prime le pietre grandi, che simboleggiano le cose importanti della vita, queste non troveranno più posto e tutto lo spazio sarà occupato dalla ghiaia o dalla sabbia che sono le cose meno importanti e delle quali a volte si può anche fare a meno.



Abbiamo chiesto a insegnanti, operatori e dirigenti scolastici in occasione del convegno “A scuola nessuno è straniero” di raccontare quali sono le cose importanti che devono essere messe alla base di una scuola multiculturale di qualità. Quali sono le decisioni che si devono prendere quotidianamente nelle situazione di pluralità e di gestione educativa delle differenze. Quali sono le basi e i pilastri da posizionare per primi con cura e attenzione dentro il barattolo, che rappresenta i contesti educativi eterogenei e plurali. Abbiamo raccolto 13 racconti di scuola, che vi proponiamo di seguito, nei quali si evidenziano le scelte che sono state fatte, le priorità individuate e perseguite, i traguardi e gli orizzonti verso i quali si disegna il cammino da percorrere insieme. In altre parole, le pietre da mettere per prime dentro il barattolo.

Cinque pietre


In molti racconti vi è innanzi tutto la pietra dell’accoglienza, che non significa solo il sorriso di benvenuto, ma che prende la forma e il senso dell’attenzione alla storia di ciascun bambino e ragazzo, alle vicissitudini e alle emozioni che li hanno portati qui, al clima dell’incontro, attento sia a chi è accolto che a chi accoglie. Dentro questa parola chiave vi sono le posture, i gesti e il linguaggio non verbale, il “prendersi per mano” dei bambini che accolgono Chaima, spaesata e impaurita, il sedersi per terra in cerchio per far uscire Sef dalla sua tristezza silenziosa o per spegnere la rabbia di Yamil che sta seduto sul vulcano emotivo di una famiglia disintegrata.


“Accogliere è cogliere” scrive l’insegnante di una scuola dell’infanzia che talvolta assomiglia a “un porto di mare”, ma che costringe tutti a un quotidiano esercizio di mondo, volto a prestare attenzione, affinare lo sguardo, diventare più aperti e curiosi.

Vi è poi la pietra del tempo. Risorsa preziosa per tutti, ma ancor di più per la scuola che deve fare i conti con snodi biografici cruciali, rispettare le fasi di ciascuno, ricomporre il prima con il dopo, tessere fili fra un passato a volte doloroso e un futuro da costruire insieme. “Non avere fretta” si è rivelato per Agit, bambino curdo di dieci anni e per la sua classe il modo più efficace per far depositare la nostalgia, organizzare buone condizioni per stare bene insieme, inaugurare un cammino di apprendimento positivo. E darsi e dare tempo vuol dire anche riempire in maniera efficace la solitudine dopo la scuola, organizzare gli spazi per imparare insieme. Le iniziative di doposcuola, promosse da associazioni, volontari, gruppi di genitori sono una buona risposta di accompagnamento per chi deve ricominciare da capo e inseguire gli apprendimenti. E lo deve fare da solo e senza risorse.




Nel barattolo delle scelte importanti, tutti indicano la pietra della lingua/delle lingue. Oggi più che mai è ancora “la lingua che ci fa uguali”, per citare don Milani. La lingua per dire e per dirsi e la lingua per studiare e per pensare, la lingua per ridere insieme e quella per litigare consapevolmente. Ştefan, ragazzo romeno arrivato in una scuola dove la sua provenienza rappresenta uno stigma, concentra le sue risorse sulla nuova lingua che a volte gli pare familiare e a volte distante e quasi ostile. Ma quando vuole esprimere un’emozione e l’innamoramento per la sua compagna Maria lo fa nella sua lingua: “esti frumoasa” le dice sicuro di essere capito al di là dei suoni. E l’attenzione alla lingua/alle lingue deve iniziare fin dai più piccoli, dalla scuola dell’infanzia perché è in questo tempo cruciale che si mettono le basi per un cammino scolastico e linguistico davvero inclusivo. La lingua e le lingue, al plurale, dunque, rappresentano una pietra, levigata dalle buone pratiche di questi anni, che deve essere sistemata con cura nel barattolo della scuola plurale e plurilingue.

Poveri, non “poverini”


Dentro il barattolo che rappresenta la scuola multiculturale mettiamo poi la pietra del riconoscimento reciproco e dell’approccio interculturale. Riconoscimento delle lingue degli altri, dei saperi e dei saper fare che ciascuno porta con sé, delle cose che ha visto e vissuto e che può mettere in comune. Chi arriva da lontano può essere impaurito, disorientato, talvolta povero, ma non è “poverino”, un vaso da riempire senza avere nulla da scambiare. Nel racconto di Soheila, arrivata dal Bangla Desh e bravissima alunna nella sua scuola di provenienza, la ragazza si sblocca ed esce dal silenzio quando in classe si raccontano “Le mille e una notte” e riconosce in quelle storie un po’ della sua terra e del suo passato. Riconoscimento vuole dire anche fare i conti con gli stereotipi e i pregiudizi che sempre ci abitano, essere consapevoli delle cornici e delle spiegazioni del mondo che ci impediscono spesso di cogliere la realtà e le sue innumerevoli sfumature. E proprio grazie a insegnanti che non si sono accontentati di una spiegazione preconfezionata e stereotipata, si è potuto capire che Mei Huì non era assente da scuola perché vittima del lavoro minorile dei cinesi, ma perché era stata terrorizzata da una banda del quartiere.


E infine, nel barattolo mettiamo le relazioni, le quotidiane interazioni tra i bambini e i ragazzi e tra gli adulti e i genitori che hanno storie e provenienze differenti. Le relazioni rappresentano il cuore pulsante della scuola. Apprendimento, organizzazione, clima: tutto passa attraverso lo scambio, il contatto, la cooperazione. Senza confusione di ruoli e invadenze da una parte o dall’altra; senza sovrapposizioni o imposizioni, e anche senza negare i conflitti possibili e le distanze spesso sperimentate. Le relazioni indirizzano le scelte della scuola nel tempo delle feste, rendono concreto il rispetto degli uni verso gli altri, modulano gli atti e le decisioni sulla base delle situazioni e delle storie diverse.


E permettono ai genitori stranieri, come nel racconto di Amina, di essere per un giorno protagonista dell’incontro, riconosciuta narratrice di storie per tutti i bambini. La scuola, bene comune di tutti, può essere protetta e custodita solo grazie alle attenzioni e alla cura di ciascuno.


La scuola in questi anni


I racconti della scuola multiculturale, così come gli innumerevoli progetti e le azioni che da anni vengono condotti da insegnanti e operatori appassionati e testardi disegnano la scuola delle consapevolezze interculturali e della convivenza possibile. Raccontano anche che cosa la scuola ha imparato dalla situazioni di pluralità ormai largamente diffuse. Ha imparato, ad esempio, ad affinare lo sguardo e l’attenzione verso le storie di ogni bambino e ragazzo, a vederne i bisogni, ma anche le competenze e i punti di forza. Ha imparato qualcosa di più sulla nostra lingua e sulle tappe e i modi dell’apprendimento da parte di chi non è italofono, sulle componenti e gli usi diversi dell’italiano. Ha imparato che i tempi richiesti dall’apprendimento della L2 per comunicare e dalla lingua per studiare sono differenti. E queste acquisizioni sono un dato positivo anche per chi italofono lo è (o lo dovrebbe essere) per nascita e appartenenza.



La scuola in questi anni ha verificato, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che nessuno impara se non si sente accolto e che apprendimento e buone relazioni vanno di pari passo e sono fortemente intrecciati. Ha imparato a essere curiosa, senza diventare invadente e intrusiva, a cogliere e sottolineare - oggi più che mai - le innumerevoli corrispondenze e analogie che ci uniscono e che ci rendono simili, al di là delle differenze che ci contraddistinguono.
Ha imparato che le pietre che stanno alla base di una scuola multiculturale efficace sono quelle di una scuola buona per tutti, con alcune attenzioni e dispositivi "specifici e transitori", "non speciali e rigidi". La scuola multiculturale, come la scuola tutta, a volte rischia di riempire il barattolo delle scelte con la ghiaia e la sabbia dei compiti e degli adempimenti che rischiano di saturare il tempo e le energie.


Può succedere così che l’inseguimento delle scadenze lasci indietro le cose davvero importanti e le pietre delle scelte importanti non trovino più spazio nel barattolo.

La scuola multiculturale che si pensa ancora emergenziale rischia di essere un passo indietro rispetto alle trasformazioni e ai processi di cambiamento sociale che corrono davvero veloci e che sono già tutti qui e ora. Educare con lungimiranza richiede una sguardo pedagogico largo in grado di distinguere le pietre dalla ghiaia, le scelte importanti dalle incombenze necessarie ma non sempre cruciali.

Graziella Favaro

Le scelte della mia scuola multiculturale


Racconti

Chaima


Chaima è arrivata all’improvviso, in un giorno di gennaio, quando la scuola era già cominciata da mesi e la sezione ben formata, con bambini di nove differenti etnie ma tutti già integrati perché nati in Italia, figli di coppie miste o che già vivevano qui da tempo...
Di Maurizia Butturini

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Accogliere è cogliere


A contatto con il vorticoso fenomeno della globalizzazione, siamo sempre più prossimi ad una realtà multiculturale ispirata a principi di partecipazione, comprensione e solidarietà. Ma ci siamo mai interrogati sul più immediato senso che il termine accoglienza richiederebbe? 
Di Rosaria Lucini Paioni

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Yamil


1^D, secondo giorno di scuola. Arriva un nuovo bambino in classe. Non sa una parola di italiano, qualche problema con la gestione della rabbia e una situazione familiare difficile...
Di Annalisa Soda  e Adele Balducci

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Sef


Sef aveva sei anni. Quando l’ho conosciuto la sua famiglia era appena arrivata dall’Africa e la primaria per lui rappresentava il primo approccio con la scuola e con i coetanei...
Di Eva Corradini

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Agit


Agit è un ragazzo curdo di 10 anni. Entra in una classe terza a metà anno. Conosce poche parole di italiano. Che fare?
Di Angela Maltoni

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Amina


Amina è una presenza quotidiana nella nostra scuola: scodella i pasti durante la mensa, riassetta i tavoli tra il primo e il secondo, sparecchia a fine pasto. Indossa il grembiule e porta l'hijab perché proviene dal Marocco...
Di Bettina Ronchetta e Enrico Colomberotto

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Soheila


Soheila viene dal Bangladesh. In classe osserva tutto e tutti ma è difficile coinvolgerla nelle discussioni. Per non parlare di gite e feste. Finché non entra in classe un libro meraviglioso...
Di Maria Chiara Bolognini

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Maria e Ştefan


Ştefan era entrato in classe ad anno iniziato. Aveva capelli corti, occhi profondi, spalle forti. Aveva guardato fisso Maria (capelli biondi ed occhi neri) fin dal primo momento. Anzi per la precisione non le aveva mai staccato gli occhi di dosso. Lei di sfuggita lo aveva sbirciato...
Di Riccardo Agresti

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Mei Huì


Febbraio: in una piccola scuola di paese ai confini della provincia milanese arriva Mei Huì, quindicenne ragazza cinese. Dopo qualche tempo non si presenta più in classe. Che si fa?
Di Maria Frigo

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Milo, Fathima e tanti altri


Milo è appena arrivato in Italia, va alla scuola media ed è stato inviato al nostro doposcuola. Non capisce la lingua, si dimostra molto riservato e sembra spaventato...
Di Loredana D'Apote

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Feste e ospitalità


Supponiamo che io inviti un amico, conosciuto in un paese lontano, a cena o anche a trascorrere qualche giorno a casa mia durante un periodo di festa, diciamo il Natale...
Di Gilberto Bettinelli

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Partire dai piccoli


Che cosa può fare la scuola per essere “adeguata” soprattutto in una visione a lungo termine, per essere una scuola di tutti e per tutti con un ampio respiro universalista capace di ricalibrarsi rispetto alle nuove esigenze? 
Di Elisabetta Micciarelli

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Fare i conti con i pregiudizi


Le scuole multiculturali sono luoghi complessi, spesso inserite in contesti territoriali trascurati, spesso disertate dagli italiani, spesso alle prese con numerosi problemi e scarsità di risorse, eppure è in scuole come queste che ci si confronta – oggi – con la società di domani.
Di Concetta Mascali

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Le immagini che accompagnano il testo sono state realizzate da giovani migranti nell’ambito di un laboratorio di Art Therapy condotto presso la Casa della Carità di Milano da Erica l’Altrella e Serena Pagani. Sono tratte da "In viaggio. Immagini e storie di cieli, acque e terre… camminate", IBVA, maggio 2013.

La scuola in un barattolo

a cura di Graziella Favaro

"Sesamo"
Giunti Scuola
marzo 2016