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Emanuel Di Mauro al Soda di Alba trasforma i cocktail in una vera e propria esperienza gastronomica. L'abbiamo intervistato per scoprire la sua filosofia e le sue creazioni.

Soda - Alba

Un pesce fuor d'acqua. Come si potrebbe definire altrimenti un cocktail bar gourmet (che è anche ristorante vegetariano/vegano) inaugurato un anno fa in quel di Alba, terra che evoca soprattutto grandissimi vini? Il pesce è il Soda. E dal 14 maggio 2013, giorno della sua inaugurazione, ha imparato a nuotare benissimo anche nell'ecosistema di Langa. Tutto merito di Emanuel Di Mauro (e della moglie Sara Mauro che lo accompagna in quest'avventura). 36 anni, originario dell'astigiano, cuoco e impenitente astemio. Proprietario e barman che qualcuno ha definito "il Crippa dei cocktail", facendo riferimento a quell'Enrico Crippa che proprio ad Alba è protagonista indiscusso della cucina del ristorante tre stelle Michelin Piazza Duomo, e che del Soda è uno dei clienti più affezionati ed entusiasti. Un identikit a dir poco spiazzante. Sì perché ci si potrebbe chiedere: come arriva un cuoco, per di più astemio (che però, ovviamente, assaggia le sue creazioni), a diventare uno degli astri nascenti nel panorama dei cocktail e della miscelazione? Per scoprirlo gli abbiamo fatto qualche domanda.

Emanuel Di Mauro dietro al bancone

Ci puoi raccontare qualcosa sul percorso che ti ha portato dietro al bancone del Soda? Dopo aver frequentato la scuola alberghiera, dai 15 ai 22 anni ho lavorato prima in un ristorante a Nottingham, in Inghilterra, poi come PR per 7-8 mesi alle Canarie e infine come cuoco a Santa Monica, in California. Negli Stati Uniti è scoppiato il mio interesse per il beverage: finito di lavorare si andava fuori a bere con i colleghi, e a Los Angeles c'erano dei locali stupendi che mi hanno fatto scoprire questo mondo. Tornato in Italia, nel 2003 ho aperto il cocktail bar L'Ozio, a San Damiano d'Asti, un'esperienza durata 10 anni. Da lì poi è nata quest'idea un po' estrema del Soda. Ed eccoci ad Alba. 

Se dovessi descrivere la filosofia che sta alla base del tuo modo di concepire e creare i cocktail, che parole useresti? Innanzitutto la mia ispirazione è prettamente gastronomica. D'altronde sono un barman autodidatta con forti basi culinarie. Oggi, quando posso, frequento i grandi ristoranti per scoprire le creazioni degli chef più bravi. Sono quelle le esperienze che mi guidano: quello che mangio (e che mi colpisce ed emoziona) io cerco di fartelo bere. In poche parole? Io cucino nei barattoli [i cocktail del Soda sono serviti in barattoli che solitamente si utilizzano per le conserve ndr]. 

Un anno di Soda: puoi farci un breve bilancio dell'esperienza? Qui si è creato molto interesse intorno alla nostra proposta. Che è quella di un locale gourmet che vuole stimolare la curiosità di chi vuole fare un'esperienza gustativa. In questo senso Alba si è dimostrata pronta perché è una città che già possiede una forte cultura gastronomica. La tua creazione che più ti sta a cuore? 

Nei nostri cocktail tutto è edibile. Il curioso lo rimesta, svuota il barattolo giocandoci e facendo un'esperienza gustativa. Il nostro obiettivo è che il cliente vada via avendo preso un drink, ma in realtà portandosi a casa un ricordo. Ecco, in questo senso i miei ricordi, quelli che mi stanno più a cuore, sono molti: ogni cocktail è un'emozione. Se dovessi citarne qualcuno in particolare direi quello con vodka, sale nero, pomodori ciliegini, rosmarino pestato e cardamomo affumicato, che è piaciuto molto a Enrico Crippa. O quello con rum, matcha (un tè verde giapponese di uso cerimoniale), ibisco, sambuco in bacche e fiori, che è stato un po' il mio cavallo di battaglia. O ancora quello che mi rispecchia di più oggi e che faccio con vodka, carbone vegetale, erbe di campo e violetta: è un cocktail di colore nero, esteticamente quasi innaturale e di forte impatto.

Soda

Organic Food & F*cking Good Drinks

Corso Italia 6

12051 Alba (CN)

Tel. 346 5938838

Photo Credits: Soda & Gabriele Rosso

SOTTOPIATTO Recensioni

Il nuovo locale di Arcangelo Dandini: tutto il potere del supplì.

C'è una strada del centro storico romano in cui potete trovare, in pochi metri, tre locali unici. Il primo è Il Goccetto, la mitica e oramai storica vineria di Sergetto in cui non è difficile incontrare i più importanti appassionati e scrittori di vino della capitale. Di fronte Il Pagliaccio, una delle migliori cucine della città: ai fornelli Anthony Genovese, e qui si vola alto. A poche decine di metri, da qualche giorno una grande novità: Supplizio. Siamo in via dei Banchi Vecchi, di fronte all'angolo con via di Monserrato, ed entrando non sembra davvero di trovarsi in una friggitoria. E invece questo è il luogo scelto da Arcangelo Dandini per i suoi supplì.

Non ci sono solo quelli ma di quelli parleremo: unici, praticamente perfetti, i migliori. Tutto è preparato con cura: il riso, cotto come un risotto (carnaroli o baldo) con pomodoro scelto personalmente dallo chef. Viene poi steso a raffreddare sul marmo e l’operazione vuole il suo tempo. Poi il fior di latte, le rigaglie di pollo e tre differenti ragù (anche manzo e maiale)! Persino il pangrattato della panatura è preparato in cucina e in effetti la croccantezza e la consistenza sono notevoli. Il supplì esiste in versione classica (rosso, al pomodoro) e in quella più antica, in bianco. Il piacere ha un prezzo abbordabile: 3euro. 

APPUNTI in cucina Fare la spesa

Seguire le stagioni è utopia? Oltre alle mezze, sembrano scomparse anche le stagioni intere.

Ho in mano il numero di giugno di una rivista di cucina ricca di immagini molto suggestive e con tante ricette interessanti. Rimango tuttavia perplessa quando vedo i carciofi romaneschi fra i prodotti in primo piano e, più avanti, trovo una torta con le mele cotogne. Purtroppo i romaneschi sono già finiti da un bel po' e per le mele cotogne bisogna aspettare ottobre-novembre. È vero che ormai si trova sempre quasi di tutto in ogni mese dell'anno, ma è bene sottolineare il quasi perché la natura non può essere forzata più di tanto e, se è possibile produrre fragole, pomodori e altro in serra, per carciofi e mele cotogne occorre aspettare, a meno di rivolgersi all'altro emisfero. E qui il discorso è anche più complicato perché entra in gioco anche l'ambiente con il carburante bruciato per il trasporto. 

Per età e origine mi viene istintivo comprare solo frutta e verdure di stagione, ma a volte, mentre faccio la spesa e vedo cosa fanno gli altri, mi sento un po' fuori dal tempo e mi domando se non sia esagerata questa abitudine di comprare pomodori, peperoni e melanzane solo in estate e le arance solo inverno. Il mio fruttivendolo, al quale mi lega un'amicizia trentennale, mi contesta spesso "e mo chi c'ha la serra, deve chiude' bottega pe' sta' dietro a 'sti discorsi?". Che, a ben guardare, anche questo è un punto di vista da non trascurare, l'unico che mi fa mettere in dubbio le mie abitudini. È molto probabile, anzi certo, che sarò sempre più in minoranza, ma nel mese di giugno continuerò con fagiolini, zucchine e carote senza dimenticare le albicocche, le ciliegie e le prime pesche, e continuerò a domandarmi perché qualcuno compri adesso le arance sudafricane. Quanti, fra quelli che leggono, seguono rigorosamente le stagioni? E quanti ritengono invece che questi discorsi non siano altro che utopia? Fateci sapere.

SOTTOPIATTO News

Ci sono intolleranze che limitano le nostre possibilità di scelta a tavola. Ma anche tante soluzioni per non rimanere a bocca... insoddisfatta.

Per molti di noi è stata una delle prime cose memorizzate quando, chini sui banchi di scuola, abbiamo iniziato a spremerci le meningi sui testi che trattavano materie scientifico-naturalistiche: l'uomo, così come molte altre specie animali, tecnicamente è un onnivoro. Se oggi volessimo tradurre fedelmente questo termine, che alla lettera significa "colui che si nutre di tutto", dovremmo tuttavia apportare qualche piccola modifica: forse suonerebbe meglio come "colui che, perlomeno sulla carta, potrebbe nutrirsi di tutto". Sì perché nel campo delle abitudini alimentari il panorama odierno è ampio e variegato come non mai: macrobiotici, vegetariani, vegani, crudisti, fruttariani, per citarne soltanto alcuni. Al punto che oggi è diventato pressoché impossibile pensare al nostro mondo del cibo in termini "onnivoreschi".

L'elenco sarebbe molto più lungo, ma ci fermiamo qui. Perché in realtà, a impattare profondamente sui nostri regimi alimentari sono soprattutto le allergie e le intolleranze: da non confondere le prime, rare e che coinvolgono il sistema immunitario, con le seconde, molto diffuse e che hanno a che fare con il metabolismo. Entrambe sono però accomunate da un dato di fatto: si collocano in un campo completamente diverso da quello della libera scelta individuale, della tendenza o dell'abitudine acquisita.

Un'intolleranza su tutte? Quella al glutine. Un fenomeno (purtroppo) in prepotente crescita, e che nel contesto della cultura gastronomica italiana ha un peso ancora maggiore, considerato che implica la rinuncia a pane e pasta prodotti con farine tradizionali a base di frumento, orzo, segale e farro, pilastri fondamentali della nostra tradizione culinaria. Chi è colpito da celiachia, almeno inizialmente, potrebbe trovarsi in forte difficoltà a cambiare così radicalmente il proprio regime alimentare. Salvo poi scoprire che, come si suol dire, "ci si sta attrezzando". 

Sì perché il celiaco può fare affidamento sull'AIC (Associazione Italiana Celiachia), che sul suo sito pubblica tutta una serie di informazioni utili: dalle norme per la protezione dei soggetti malati di celiachia al prontuario degli alimenti senza glutine. Ma soprattutto può trovare, in un numero crescente di locali e ristoranti, menu disegnati per chi soffre di intolleranze, di modo che la cena fuori non si risolva in un continuo e faticoso "dribbling" tra piatti invitanti, a cui però si è costretti a rinunciare. 

Per la cucina di casa si può sempre fare affidamento sui prodotti senza glutine che si trovano ormai in tutti i supermercati e punti vendita di generi alimentari, anche se molto spesso risultano non propriamente economici. Ma c'è anche chi non si rassegna al prodotto confezionato e già pronto, e decide di fare affidamento sui ricettari: l'ultimo è A tavola senza glutine di Slow Food Editore (clicca sul link in rosso per acquistarlo), dove oltre a una parte introduttiva con alcune informazioni generali sugli ingredienti, seguono quattro sezioni che comprendono 105 ricette: pani pizze e focacce, antipasti, primi e dolci. A dimostrazione che senza glutine non vuol dire senza gusto.

Anche su Piattoforte puoi sfogliare l'archivio delle ricette senza glutine.

SOTTOPIATTO News

Il 26 maggio i fratelli Salvo saranno ospiti dei Cerea a Brusaporto per Pizza&Bollicine: una cena a 8 mani dai sapori partenopei.

Così lontano, così vicino! è il titolo di un celebre film di Wim Wenders del 1993, premiato al Festival di Cannes. Ma è anche un modo per provare a descrivere in poche parole il rapporto tra due mondi come quello della pizza e quello dell’alta cucina. Due universi apparentemente distanti: visceralmente popolare l’uno, lontano dal gusto e dalla frequentazione delle masse l’altro. Due universi, tuttavia, che hanno conosciuto negli ultimi anni un processo di graduale avvicinamento, e che a breve si incontreranno. L’occasione è data da Pizza&Bollicine, una cena a otto mani che si terrà il 26 maggio presso la Residenza Cantalupa e vedrà protagonisti i fratelli Francesco e Salvatore Salvo, della rinomata pizzeria Salvo Pizzaioli di San Giorgio a Cremano (NA), e i padroni di casa, i fratelli Enrico e Roberto Cerea, del ristorante tre stelle Michelin Da Vittorio di Brusaporto (BG). 

Un incontro che non è casuale né forzato. Negli ultimi anni la pizza (ecco la nostra ricetta della pizza alla napoletana) è diventata infatti protagonista di un vero e proprio risveglio gourmet: più approfondita ricerca sulle tecniche d’impasto e di lievitazione, grande cura nella scelta di ingredienti e materie prime. Con il risultato che le migliori pizzerie napoletane (e non solo) ormai sono diventate a tutti gli effetti luoghi di grande eccellenza gastronomica, che poco o nulla hanno da invidiare a ristoranti e locali generalmente considerati di fascia più elevata. Dall’altro lato, poi, c’è un’alta cucina che investe sulla ricerca di formule ristorative semplificate e più accessibili, e che proprio valorizzando in modo più diretto e immediato i prodotti territoriali si sta avvicinando a platee più ampie e palati un tempo difficilmente raggiungibili.

Pizza&Bollicine, in un certo senso, oltre a essere il titolo di una serata all’insegna del gusto sancisce quest’avvicinamento. Antipasti napoletani, pizze e dolci tradizionali partenopei in trasferta nella provincia bergamasca. Insieme alle bollicine delle Cantine Ferrari e alla cucina dei Cerea. Quasi a volerci ricordare che la gastronomia è innanzitutto incontro e contaminazione, e che i confini, quando si parla di cibo, non hanno ragione di esistere.

Tecniche di base

Foto di Archivio Slow Food/Laura Ascari

Il taglio a julienne è uno sviluppo di quello a bastoncino: la julienne è costituita infatti da bastoncini molto sottili di 1-2 millimetri di sezione e di 3-5 e più centimetri di lunghezza. Può essere effettuato agevolmente con tutte le verdure che hanno una forma globulare: carota, zucchina, cetriolo, melanzana, sedano rapa, barbabietola, rapa. Con altre il taglio a julienne è fortemente condizionato dallo spessore della falda – è il caso di cipolla, peperone, porro – o dalla forma che consente di utilizzare solo alcune parti (sedano verde o bianco, zucca, cavolfiore: si vedano le singole schede). Con altre ancora è impossibile. Il taglio a chiffonade è adatto a verdure a foglia larga e sottile, quali lattuga, cavolo cappuccio, cavolo verza, spinaci, acetosa. Il termine deriva dalla parola francese chiffon, straccio.

1. Per la tecnica di taglio a coltello si procede in modo analogo a quello a bastoncino, con la differenza che il taglio della prima falda deve avere lo spessore sottile della julienne. Realizzate tutte le falde, si sovrappongono e si tagliano le striscioline.

2. Arrotolate le foglie su se stesse tagliando poi le striscioline. Se la verdura presenta nervature centrali spesse e dure, per avere un buon risultato è meglio toglierle.

Le foto che illustrano i singoli passaggi sono di Archivio Slow Food/Marcello Marengo.

Le modalità di tornitura si possono attuare su molte verdure: zucchine, carote, rape, rapanelli... La forma più classica è quella di oliva. Lo strumento più adatto per tornire è lo spelucchino curvo: si possono realizzare, attraverso operazioni di intaglio, piccole sculture, quali roselline, crisantemi e altro con gli ortaggi più svariati.

1. Tagliate tronchetti lunghi 4 centimetri di carote, zucchine, patate o altro in 3, 4 o 6 parti secondo la dimensione dell'ortaggio.

2. Tornite le estremità in modo da ottenere delle piccole olive.

Tornire i carciofi

Per i carciofi la tornitura consente di ottenere spicchi, chips ma anche fondi, che si possono usare come contenitori di piccole insalate.

1. Togliete tutte le foglie esterne dure fino a raggiungere la parte più bianca e quindi tenera. Con lo spelucchino curvo tornite il fondo in modo da togliere le parti dure e scure. Ricavate spicchi di vario spessore.

2. Volendo realizzare un fondo, lavorate con lo scavino in modo da togliere il fieno interno. Ricordatevi di immergere i carciofi lavorati via via in acqua acidulata per evitare che si anneriscano.

SOTTOPIATTO Opinioni

Non serve il ristorante di lusso per mangiare piatti di qualità. La buona cucina è come la buona musica, si può "comporre" ovunque.

Cibo & musica

Avete mai pensato alla colonna sonora che meglio si abbinerebbe allo stile e ai piatti di un ristorante in cui siete stati? Che so, certi ristoranti di alta (se non altissima) fascia dall'atmosfera un tantino ingessata, iper-formale, quasi fredda. E, in abbinamento, un concerto di musica classica in un teatro d’opera con la sua platea rigidamente composta. Oppure un neo-bistrot, dove si cerca di fare grande cucina a prezzi accessibili ai più in spazi piccoli e informali e, per associazione istintiva, un sottofondo jazz “cervellotico” ma al tempo stesso popolare, di facile ascolto. O ancora la tipica osteria all'italiana, con la sua colonna sonora di musica d'autore che, pescando da Fabrizio De André a Francesco Guccini, da Paolo Conte a Vinicio Capossela, propone piatti del territorio quasi a replicare le note di cantautori che al territorio stesso sono intimamente legati.

Lo chef Christian Puglisi

Un’associazione, quella tra cibo e musica, tra cucina e spartito, di sicuro fascino, e che ci viene subito in mente leggendo le parole che Christian Puglisi, rinomato chef messinese cresciuto in Danimarca, ha rilasciato di recente durante un'intervista a La Cucina del Corriere della Sera: «quando ho aperto Relæ volevo fare cucina creativa in un ambiente più leggero, accogliente e casual rispetto al Noma [due stelle Michelin, per tre anni consecutivi vincitore della classifica dei World's 50 Best Restaurants ndr]. Non voglio dire che il Noma sia pretenzioso, ma l’idea stessa di fine dining [ristoranti di lusso, con ambienti eleganti e curati e ad alto contenuto di servizio ndr] mi disturba tantissimo. Come dire che la musica di qualità è solo una sinfonia suonata in una sala da concerto, e non jazz in un localaccio».

Quindi, per ripartire proprio dal ragionamento di Puglisi, la cucina può essere di qualità a prescindere dall'ambiente in cui viene fatta: dal ristorante stellato al bistrot, dall'osteria al locale etnico, dalla pizzeria al chiosco di strada. L'importante, a questo punto, è che nei piatti che ci vengono serviti non ci siano stonature, vale a dire errori e imperfezioni. E che la melodia complessiva, data dall'intrecciarsi tra strumenti (gli ingredienti secondari), la voce (l'ingrediente principale) e il tocco personale dell'autore/compositore (il cuoco), risulti in un'armonia ben calibrata, piacevole a sentirsi. Al punto che, con Mina, potremmo concludere la nostra esperienza gastronomica sulle note di “Ma che bontà”, facendo finta per un attimo di non conoscere il vero oggetto della canzone.

Photo: Spectator Tribune, AnotherMag